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OLIVIERO TOSCANI PDF Stampa

Chi sono i principali responsabili del tuo stile ?

Sono io, dopo aver frequentato una scuola d'arte Svizzera di lingua tedesca basata sul Bauhaus, quindi, sull'essenzialità. Odio il trend, le mode. Non le seguo e non mi interessano. Quello che faccio è indipendente.

 

Arrivi all'essenzialità dopo un lungo processo di elaborazione?

È molto difficile, molto complicato e complesso essere semplici. Tutti tendono a mettere, ad aggiungere; io tolgo.

 

Influenze americane...?

Chiaramente. Mentre i miei compagni andavano in piazza con le bandiere rosse, io ero alle conventions democratiche americane. Veltroni solo adesso è diventato un kennedyano.

 

I tuoi messaggi visivi a chi sono rivolti?

A tutti, alla gente di ogni area geografica del mondo. Ciascuno deve interpretarli in rapporto alla propria sensibilità, cultura, religione morale..., perché, comunque sia, c'è un'avventura per ognuno che guarda l'immagine. Quindi, non si può avere una sola lettura. Ce ne devono essere tante per quanti usano l'immagine.

 

Oltre che dell'effetto pubblicitario immediato ti preoccupi delle reazioni negative dei benpensanti?

No, non mi preoccupo. Penso che la provocazione appartenga all'arte. Una comunicazione, una espressione che non provoca, forse è fatta male; non è arte. Tutto ciò che provoca è positivo. I benpensanti non vogliono smuoversi dalla loro posizione statica e si sentono provocati. Chi invece vuole vedere le cose da un altro punto di vista, ringrazia. Quindi, io considero molto più interessanti i malpensanti.

 

Comunque, per far arrivare il messaggio, usi il gusto comune...

Cos'è il gusto comune? Non so. Uso il mio gusto e basta. I pubblicitari usano il gusto comune e sono presuntuosi nel pensare di sapere cos'è.

Studi anche nei particolari l'immagine da utilizzare?

Non esiste dettaglio piccolo.

 

Le tue immagini considerate shock nascono da provocazioni esterne...?

Tutto è immagine shock. Io non le considero tali. Ci sono le immagini “sciocche” e poi le mie.

 

Cerchi deliberatamente di provocare l'osservatore anche per creare una riflessione?

Credo che la provocazione sia un fatto positivo. Provocare è un atto di generosità, cioè, fare in modo che chi fruisce l'immagine possa avere un ulteriore valore nel proprio sguardo; possa vedere qualcosa di nuovo; essere indotto a riflettere in modo diverso; trovare in essa un arricchimento.

 

Perché i tuoi lavori fanno scandalo?

Scandalosi in rapporto a cosa? La Madonna di Civitavecchia è scandalosa, non le mie immagini. L'immagine non è altro che la documentazione di una realtà che ci circonda. Quindi, non è scandalosa l'immagine in sé, ma la realtà. E scandalosa è la reazione di fronte a certe realtà, perché alla fine l'immagine è diventata più reale della realtà. Cioè: la realtà non è più realtà, ma è immagine. È ridicolo che ci si arrabbi con una immagine e non con la realtà stessa.

 

Cos'è più osceno oggi?

Trovo osceno... la televisione e la nostra sudditanza ad una realtà falsa di cui forse essa è l'aspetto più volgare.

 

Con la tua azione ti proponi di accelerare la percezione del tempo della vita?

Non è possibile accelerarla più della sua velocità.

 

A quanti dicono che sfrutti la realtà e fai prereportage cosa rispondi?

Di non essere degli struzzi.

 

In sintesi, come giudichi l'attuale comunicazione di massa?

Trovo che quella tradizionale sia morta. È un cadavere puzzolente che i pubblicitari spalmano di profumo tutti i giorni, ma nessuno ci crede più.

 

Come dovrebbero essere le campagne di sensibilizzazione sulle emergenze sociali e ambientali?

Dovrebbero essere fatte per i giovani; in realtà servono per interessi privati in atti d'ufficio. Sono commissionate da ministri che prendono le percentuali, realizzate da agenzie che prendono le percentuali, in un Paese dove ancora adesso tutto è Tangentopoli. Arricchiscono solo chi ha avuto l'idea di farle.

 

Allora sono inadeguate...

Qualsiasi campagna dovrebbe essere sociale; qualsiasi immagine ha un significato socio-politico, anche quelle del Mulino Bianco. Ci vedo dentro il sistema. Il problema è che tutta la pubblicità è asociale. Ti fanno credere che per arrivare ad essere come quelle immagini devi consumare certi prodotti. Tutto questo è un inganno, un'associazione a delinquere.

 

Quand'è che la TV crea violenza?

Sempre.

 

Ti rifiuti di lavorare per essa?

Non lavoro per nessuno, solo per me.

 

Sei contro la tecnologia avanzata? Dove arriva la tua tolleranza?

Frequentemente arriva all'intolleranza.

 

Ti senti condizionato come operatore visuale?

Non più che per il resto.

 

La democrazia vera è espressione della massa anche quando essa è impreparata e condizionata dai media?

Sì.

 

Pensi che l'attuale potere dell'incultura rappresenti la rivincita del proletariato sulla borghesia?

Antica cultura, ignoranza moderna.

 

Tutto può diventare pubblico? La pubblicità non deve avere tabù? deve essere senza morale?

Chi ha tabù è senza morale. Ma pensiamo un momentino a cosa è riuscita a venderci la chiesa: la mamma del padreterno che è vergine, le madonne che piangono. Ma dico..., veramente la chiesa non ha avuto tabù.

 

Non c'è mai profanazione quando si strumentalizzano aspetti riservati del reale?

No, direi che c'è quando si strumentalizzano aspetti irreali del reale.

 

La percezione sincera della realtà va sollecitata?

Sì, perché è la parte più creativa dell'essere umano. Non si può pensare a qualcosa che non esiste. Quindi, è il rapporto con la realtà che stimola la creatività.

 

L'immagine sensazionale è occasionale o esprime anche l'ideologia dell'autore?

Non esistono immagini sensazionali. Tutto è soggettivo. Ci sono immagini molto semplici, sensazionali per qualcuno, e ce ne sono altre complicatissime che non creano nessuna sensazione. Tutte le immagini sono ideologiche, perché hanno un contenuto socio-politico e il socio-politico significa anche ideologico.

 

In che senso il tuo lavoro può assumere una funzione pedagogica?

Qualsiasi cosa che interessa ha una funzione pedagogica. Ci sono tante cose considerate pedagogiche che non mi interessano, anzi, sono per me noiose. Sicuramente le mie immagini non sono noiose.

 

Come consideri i temi dell'AIDS e della guerra che hai trattato per Benetton?

Penso che appartengano alla realtà del mondo attuale e, siccome tutto è collegato, tutto ha un senso e tutti siamo esposti agli stessi pericoli, allora bisogna parlarne. In questo esatto momento, mentre discutiamo di problemi stupidi come la pubblicità e l'immagine, fuori c'è gente che muore di AIDS, fuori ci sono le guerre.

 

Chi crea le vere agonie...?

La produzione e la vendita.

 

Evidenziare gli orrori del mondo può essere salutare, ma può anche creare assuefazione, insensibilità...

Non credo. Io ancora non mi sono assuefatto alla musica di Mozart. L'assuefazione viene data dalla mediocrità, non dalle cose importanti.

 

Ma all'uomo piace anche bendarsi per sognare...

Rimbecillirsi, vuoi dire? Scappare, pensare a quello che non sarà mai, crearsi i complessi, creare i Pietro Maso. Anche Pietro Maso voleva sognare e, per sognare, ha ammazzato i genitori.

 

Qual è la vera quotidianità, la realtà da svelare?

Quella che va dal momento in cui si nasce al momento in cui si muore.

 

Da quali immagini ti senti più stimolato?

Stimoli più interessanti mi giungono da religione, razza, vita, morte.

 

Ce n'è una a cui sei particolarmente affezionato?

Quella che vedo tutte le volte che apro gli occhi.

 

La realtà che rappresenti ti viene incontro o la cerchi?

La vivo. Ci sono realtà che non cerco, ma so che ci sono.

 

Perché la fotografi se la vivi?

Non si può fotografare ciò che non esiste.

 

Per essere efficacemente documentata deve essere partecipata?

Non bisogna andare in prigione per apprezzare la libertà.

 

Utilizzi indifferentemente anche le immagini degli altri...

Sì.

 

Nella ricerca della verità può avere influito la cultura del ‘68 vissuta dalla tua generazione?

Anche quella.

 

Partecipare in tempo reale al presente, ti crea infelicità?

L'infelicità si capisce quando si è felici e la felicità quando si è infelici.

 

L'aspetto più drammatico della realtà di oggi.

Quello virtuale.

 

Che ruolo assegni alla componente spettacolare riscontrabile in certi tuoi lavori?

Tutto è un teatro e il teatro è anche spettacolo. La forma ha un senso. È chiaro che essa appartiene al significato.

 

Nella tua produzione non c'è finzione?

La finzione non esiste per me.

 

Neanche quando costruisci certe immagini...?

No, no, non esiste proprio. L'immagine è più vera della realtà. La realtà è l'immagine, non è la realtà.

 

Non c'è niente di retorico nei tuoi lavori? Sfrutti l'immagine conosciuta per fini comunicativi?

Non capisco cosa voglia dire “retorica”. Tutto, bene o male, è retorica culturale.

 

In che termini sei interessato alla dimensione poetica?

In termini visivi, non tradizionali, soggettivi. La poesia è letteratura, la letteratura ormai tenta di superare la verità, mentre l'immagine non cerca la verità; l'immagine è la verità.

 

...Dove guarda?

Nella realtà che si volge indietro e guarda avanti; invece, l'altra si volge avanti ma guarda indietro.

 

L'artista di oggi dovrebbe finalizzare diversamente la creatività?

Dovrebbe essere più creativo. Oggi siamo troppo condizionati dalla tecnologia. Capiamo solamente quello che è stato fatto, perché la creatività è basata sull'insicurezza e, di questi tempi, nessuno ha il coraggio di essere insicuro. Nel momento che si è insicuri si crea di più; quando si è sicuri vuol dire che si sta facendo qualcosa che è già stato fatto. Non c'è più coraggio di essere insicuri e quindi di essere creativi.

 

Il pubblicitario deve essere sempre in prima linea sul fronte del reale?

È chiaro che egli appartiene alla comunicazione che ha un significato importante nella società moderna. Il pubblicitario deve essere innanzitutto creativo e l'industria, il commercio hanno bisogno di creatività; l'economia ha bisogno di creativi.

 

Il capitale creatività va messo al servizio del committente?

Certamente al servizio del pubblico. Il committente era sacro anche per i pittori del Rinascimento. Lavoravano, bestemmiavano e dipingevano le più belle Madonne del mondo.

 

Allora sei per l'arte applicata!

L'arte è tutta applicata. Se non è applicata non è arte, ma se non la trascende è solo “applicazione”.

 

C'è modo e modo di applicarla, in senso sociale o privatistico...

Tutto è sociale. Attraverso il prodotto si possono capire anche le dimensioni politiche. Il prodotto ha un significato politico, anche quello del Mulino Bianco. Ci vedo dentro il sistema. Dipende da come è disegnato, da come viene usato, da come viene consumato. Le compagnie automobilistiche, per esempio, spendono 50 milioni di dollari all'anno per fare campagne pubblicitarie. Una follia, per comunicare sull'automobile con tante ore di pubblicità televisiva, tanti chilometri quadrati di manifesti, pagine e pagine di giornali. Quante volte hai sentito dire che ci si può far male in automobile? Questa è pubblicità asociale. ...Dice che con l'automobile 24 valvole siamo dei fighi , riusciamo ad avere le fighe più belle, più successo, a conquistare il mondo. Quindi, istiga a delinquere. E, dall'altra parte, c'è quella sociale come la Pubblicità Progresso che avverte: “Attenzione alla droga, all'AIDS...”. La pubblicità dovrebbe essere sempre sociale.

 

Le aziende del futuro dovranno assumersi una responsabilità sociale attraverso l'universo pubblicitario?

...Altrimenti non avremo futuro.

 

Qual è la principale regola che un moderno pubblicitario deve infrangere? Come si può distruggere la cattiva pubblicità?

Deve criticare la pubblicità con la pubblicità.

 

Secondo te, anche per rivitalizzare la fotografia artistica ci vogliono scatti che danno emozioni forti o ideazioni più concettuali?

Una cosa non nega l'altra. Non esiste soltanto una regola. Non ci sono regole. Il problema è provocare l'interesse.

 

Come mai il tuo libro sulla pubblicità di prossima uscita non avrà illustrazioni?

Perché è un libro.

 

La pubblicità è cultura o promozione culturale?

È cultura moderna.

 

Quella che si fa attualmente rafforza l'imbecillità?

È pura imbecillità; è la pornografia del potere.

 

Se non avessi fatto certe campagne pubblicitarie cosa sarebbe successo in meno?

Meno discussioni.

 

Ritieni che l'artista debba operare su basi teoriche e programmatiche?

L'artista non deve operare su alcuna base sicura.

 

L'arte deve affermare la propria autonomia rispetto alla realtà empirica?

Se non l'afferma, non è arte.

 

La creatività è sovversiva? ... È perdente?

Deve essere sovversiva e provocatrice; non è mai perdente.

 

Credi nell'utopia?

Il credere è utopico.

 

Come vedi il sistema dell'arte in rapporto alla diffusione-fruizione del prodotto creativo?

Deve esserci come nell'arte rinascimentale.

 

...E il consumismo?

È una malattia; la ricerca costante della felicità che non riusciamo a trovare negli oggetti. È chiaro che comperando ci illudiamo di comperare qualche cosa d'altro. La comunicazione è pubblicitaria e, quindi, pensiamo che comportandoci in un certo modo arriveremo ad essere qualcuno, ma abbiamo scoperto che non è vero e questo crea infelicità.

 

Occorre consumare per essere diversi da quello che siamo...?

Sì, per essere ancora più stupidi.

 

Il tuo lavoro trae alimento dal sistema capitalistico...

È una delle sue tante espressioni come la guerra.

 

Ti porresti anche al servizio della politica?

Sono già al servizio della politica, in realtà. Di quella politica meno politica non fatta di ciò che è considerato ufficialmente tale.

 

Attualmente le tue immagini sono più accettate o fioccano ancora denunce ?

Fioccano denunce e quindi sono accettate.

 

Quando ti denunciano alla magistratura per offesa alla morale o per altro, come ti discolpi...?

Non ho nulla da discolparmi.

 

L' effetto Toscani ha un limite...?

Sì, la mia morte.

 

Vuoi lanciare un messaggio finale?

Penso che ormai abbiamo accettato un sistema nel quale siamo rinchiusi, dove è vero solo ciò che si vede in televisione; dove non è più vero ciò che decidiamo noi, ma ciò che decidono gli altri. È incredibile il condizionamento culturale e anche fisico e come tutti ormai l'accettino. Il conformismo è diventato la regola. Manca il coraggio di vivere la vita; il coraggio di fare fatica. Tante volte la creatività, la ricerca, la cultura comportano un impegno fisico mentre noi vogliamo tutto comodo. Si accende la televisione, si sta quattro ore lì davanti e si pensa di aver visto, di avere viaggiato. In realtà non abbiamo fatto altro che guardare la televisione come il nostro vicino, lui isolato nella sua casa e noi nella nostra: abbiamo visto la stessa cosa, fatta, realizzata, mediata, mutata, accelerata o rallentata da qualcun altro. Noi pensiamo che sia la realtà, invece ce la stiamo prendendo nel culo ad opera di questa grande dittatura.

 

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 75, dicembre 1995-gennaio 1996, pp. 34-35]
[intervista telefonica del 12.4.95]

 

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