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HAIM STEINBACH PDF Stampa

L'artista deve avere la massima consapevolezza del reale e dei mezzi usati o abbandonarsi all'istinto immaginativo?

Istinto e realtà sono interrelati. La comprensione della realtà attraverso la mente e le emozioni si sviluppa in rapporto agli accadimenti.

 

Quando lavori qual è la relazione soggettivo-oggettivo?

Entro in rapporto con il mondo attraverso gli occhi. La mia storia, le esperienze hanno formato la mia sensitività visiva. La visione soggettiva è come una risposta intuitiva alle sensazioni e ai sentimenti attraverso la pelle, la superficie delle cose che ho di fronte. Il lato oggettivo sta nella capacità di distanziarsi, di identificare scelte e distinzioni. È qui che entra la questione della critica intellettuale.

 

L'originalità del tuo lavoro consiste nel sintetizzare-focalizzare visivamente l'evento, il fenomeno socio-culturale rappresentativo di una situazione generale?

È così.

 

Per capire il mondo in tempo reale e costruire l'opera intesa come luogo di cultura, compi una sorta di analisi socio-psicologica sull'uso e la percezione dell'oggetto, sulla relazione forma-funzione naturale o artificiale?

Non si tratta di un'analisi come avviene in una specifica disciplina di studio, ma i temi sociali e psicologici sono di grande significato. Gli oggetti non si identificano solo per i nomi o le funzioni, ma anche per le finzioni, il contesto in cui si trovano e le relazioni tra di essi. La selezione, la combinazione e il posizionamento, inoltre, rivelano come le analogie e le contraddizioni siano parte del gioco; come il confine tra realtà e finzione, tra naturale ed artificiale sia una linea esile. Fino a che punto è naturale o artificiale il modo in cui una persona cammina? Dipende da quello che indossa?

 

Esiste una verità da indagare e da indicare? È possibile attraverso l'opera distinguere il vero dal falso ?

Il tempo lo dirà.

 

Per te ci sono tante realtà da esplorare?

Viviamo in un periodo in cui le realtà sono in continuo cambiamento. Dobbiamo essere in grado di aprirci verso molte culture e luoghi quando viaggiamo e comunichiamo più velocemente che mai. L'ultima realtà identificata in una quantità di nuove realtà è quella virtuale con cui si ha l'idea che l'immagine sullo schermo accada proprio in quel momento, ma, secondo me, la realtà virtuale accade anche fuori dello schermo stesso, nel senso che ti senti immediatamente in relazione con tutto il mondo e i suoi oggetti. Si tratta di essere in modo totale parte della realtà, parte integrante di quello che sta accadendo nel computer. Non sei fuori, ma dentro.

 

La ricerca degli aspetti più vivi dell'attualità ti consente di restare nella modernità ?

“Modernità” è una parola che ha perso il suo impatto.

 

La Storia entra nell'opera mediante la tua formazione o si manifesta all'interno dell' oggetto legato al presente?

Gli oggetti sono “reliquie storiche”, anche se esistono in molte società di origine diversa. La forma, il materiale, la tecnologia possono variare, alterando così le condizioni della loro identità.

 

Anche se partecipi intensamente alla strutturazione del manufatto, la freddezza di esso deriva più dal distacco critico con cui guardi la realtà o dalla discendenza minimalista?

“Freddezza” è una norma dei nostri giorni, alla fine del ventesimo secolo. Aeroplani, autostrade, architettura e computers hanno un disegno aerodinamico attuale. Per me è importante guardare gli oggetti. La mensola geometrica o la scatola che scelgo per presentarli è un mezzo generico che permette di evidenziarli nel modo più chiaro possibile. Per l'idea di architettura, di spazio e della sua definizione con poche cose, mi riallaccio al movimento minimalista che è la base del mio lavoro, un mezzo per strutturarlo. Per il resto ho relazioni con gli oggetti ed il loro linguaggio.

 

Nella tua indagine in che misura ti ha aiutato il Concettuale?

È stato molto importante. I problemi di contesto, linguaggio e relazioni tra l'osservatore e il soggetto nella mia arte sono stati sempre fondamentali. Mentre Joseph Kosuth investigava sulla relazione tra oggetto-immagine-linguaggio e Yvonne Rainer quella tra soggetto-soggetto-oggetto, i materiali che utilizzo sembrano prendere una posizione di background. Ciò mi ha portato alla conclusione che dovevo trovare un modo per usarli in maniera più diretta.

 

Le costanti stilistiche sono un limite per inseguire la realtà in divenire?

Qualche volta...

 

C'è compatibilità tra stile proprio, dinamicità del linguaggio artistico e storia del luogo in cui si espande l'opera?

Non necessariamente.

 

La tua attività è basata solo sulla cultura americana?

Alcune volte focalizza temi della cultura americana, visto che vivo in America da 34 anni. Ma sono anche un viaggiatore, nato in Israele (dove ho abitato per 13 anni), vissuto in Europa (di cui la mia famiglia è originaria), così il mio subconscio e la mia identità sono un insieme di realtà in cui la gente è simultaneamente in vari luoghi e la società è molto più fluida e flessibile di quella a cultura unica. La mia esperienza è legata al rinnovamento e nello stesso tempo al bagaglio storico-culturale. Una parte di me in un certo senso è europea, mischiata con il lato americano, proprio come è successo nella stessa America in cui la tradizione e la storia europea si sono incontrate con il nuovo. C'è stata un'accettazione più veloce di esso, perché l'eredità culturale non disturba troppo. Quando sei un nomade devi trovare il modo di adattarti alle varie situazioni: mantenere la tua identità, ma anche essere in grado di assorbire, di trovare spazio in una nuova realtà, in un certo senso per difenderti. Impari a sentirti sicuro anche nelle incertezze. Penso che, se ti muovi fin da bambino, hai una maggiore capacità di adattamento. Se vivi sempre in America e prendi un aereo verso l'Europa, è molto difficile aprirti con immediatezza alla diversa condizione. Resti attaccato alle radici e chiudi con l'esterno per paura o insicurezza.

 

Quale atteggiamento assumi nei suoi confronti?

Un artista, un intellettuale, un pensatore, chi voglia visualizzare un'idea, ha un lato attivo e uno passivo, come del resto tutti. È una questione di livello. Quando inizi a muoverti diventi attivo, quando pensi diventi critico, ma c'è anche il lato passivo nel quale assorbi inconsapevolmente come una spugna.

 

Le differenze che oggi noti con la cultura europea.

La cultura europea è più collegata alla tradizione; significa memoria, storia. L'America molto più spesso è sinonimo di immediatezza, attualità, informazione mediale. Un artista può identificarsi più velocemente con queste ultime piuttosto che con il senso della storia. Nell'arte contemporanea l'Europa è avanti criticamente. Infatti, i migliori artisti americani si trovano nel vecchio continente; non espongono negli USA, anche se ci sono tanti musei perché mostrano più che altro artisti provinciali.

 

Alla base del dinamismo del tuo lavoro allora ci sono l'innata curiosità dell'intellettuale e il tuo nomadismo nel mondo.

La condizione di “nomadismo” come idea ed esperienza è veramente significativa, ma anche l'intelletto e la curiosità sono fondamentali.

 

In sostanza, fare-arte per te è un problema di ricerca di identità come individuo o come soggetto sociale?

È un processo di pensiero, di consapevolezza . Presuppone una responsabilità verso la realtà sociale, politica e culturale. L'identità di ciascuno si evolve e si matura attraverso il lavoro.

 

Le tue scelte oggettuali tendono sempre ad impersonare una determinata cultura? simulano le preferenze della gente?

Niente è simulato. La maggior parte degli oggetti provengono dalla cultura occidentale degli USA e dell'Europa. Sono per lo più di uso quotidiano, ma, qualora se ne presenti l'occasione, possono anche essere fuori dal comune. Comunque, riflettono l'essere e la vita umana.

 

Vuoi dire che il tuo prodotto creativo è anche frutto di un attento studio sul comportamento umano, sulle espressioni del gusto comune?

Sì.

 

Il ready-made è un mezzo efficace per identificare la cultura di un'epoca?

Una cosa non abbiamo ancora perduto: il senso della vista. Pur circondati da computers e da “realtà virtuale”, coinvolgiamo gli oggetti e siamo coinvolti da essi. Ogni oggetto è un network di informazioni storiche e sociologiche. Perciò, secondo me, gli oggetti sono tuttora i più efficaci mezzi di comunicazione.

 

Nella scelta di essi influisce più la tua ideologia o l'ambito da cui provengono?

La cosa più importante sono gli oggetti stessi.

 

Sei interessato anche al sociale che si manifesta attraverso la produzione artistica altrui?

Sono sempre interessato alla consapevolezza sociale riscontrabile nelle realizzazioni degli artisti della mia generazione.

 

L'opera deve solo testimoniare il proprio tempo o interferire? In altre parole, come uomo e artista interpreti passivamente l'evoluzione della vita o hai un tuo modello etico da proporre?

L'attività non è mai passiva e il modello etico parla da sé.

 

Insisto: l'artista deve parlare solo attraverso l'opera estetica? realizzarla è più importante che fare cultura in senso teorico?

Sull'essere coinvolti intellettualmente, spiritualmente, nel senso dell'immaginario tramite domande e temi su ciò che succede, non rispondo in veste di artista, ma in termini di cosa la cultura sta facendo di più interessante. Se mi chiedo che importanza essa abbia per il mio sviluppo, divento critico, cerco la distanza, di pormi domande sul fatto e su me stesso e di scoprire in che relazione la cosa stia con me. Qualche volta l'artista può spiegare il suo lavoro meglio di qualcun altro. Alla fine l'opera vivrà una vita autonoma.

 

A quale coinvolgimento aspiri?

Attrarre l'osservatore e stimolare il pensiero.

 

Nel contesto mentale ed empirico in cui si manifesta l'opera trova spazio pure l'aspetto poetico?

Certamente.

 

La tua definizione di opera d'arte.

Inesprimibile.

 

Come si è evoluta la tua arte rispetto a quando realizzavi le prime mensole ?

Ho sempre usato oggetti preesistenti, ready-made; non li ho mai costruiti. La domanda è: dove trovo gli oggetti, cosa facciamo con essi, io e la gente?

Essendo parte di una cultura, per me è sempre stato un gioco di selezione, di sistemazione in situazioni vere, come in una casa, ma che nello stesso momento coinvolgessero la finzione. Anche in una abitazione, quando compriamo degli oggetti e li sistemiamo, usiamo la fantasia. È un gioco tra l'immagine di se stessi, la società in cui si è coinvolti, oppure con cui c'è interazione e il cambiamento che l'oggetto produce.

 

Il tuo lavoro, sempre transitorio , si è spostato dall'opera oggettuale geometrizzante all'integrazione ambientale?

Per me la “geometria degli oggetti” è un fatto concettuale. Gli oggetti sono entità socio-culturali artefatte che vengono dai nostri dintorni e lì ritornano.

 

Quindi, l'oggetto-soggetto che esibisci è uscito dalla mensola e dalla parete per abitare spazi architettonici-vitalistici-culturali più aperti ?

Penso che questa tua interpretazione sia corretta.

 

In particolare, quali spazi tendi ad implicare?

È un continuo relazionarsi con situazioni diverse. Al di fuori della casa, della galleria, del museo, ci sono altri spazi, per esempio, quello di “Fuori Uso” a Pescara o del Castello a Rivoli. Lì ho giocato sulla situazione culturale, sociologica, architettonica e mi riferivo ai materiali, agli arnesi da costruzione, alle possibilità di realizzare qualcosa nella realtà.

 

L'idea-base delle installazioni realizzate in “Fuori Uso” a Pescara e al Castello di Rivoli.

A Pescara ho ideato una costruzione che entrasse in gioco con l'edificio. Ho usato gli utensili che servivano alla sua ristrutturazione. Ho preso gli stessi mattoni che erano fuori per portare l'esterno all'interno. Ho inserito una dichiarazione-affermazione, “È qui il Texas!”, tratta da una rivista, specialmente per l'inflazione del modo di dire: “È qui...”, ormai banale per gli italiani, esotico per me (“...l'America” di Grillo; “...la festa” di Giovanotti). Ti guardavi intorno e scoprivi il legame. Poteva essere uno spazio preso da una casa del Texas o qualsiasi altra cosa, dipendeva dalla propria immaginazione. Usando un nome e un'immagine già adoperati da altri, ho fatto in modo che la comunicazione continuasse.

Il progetto-installazione “ La Scala ” per Rivoli è il risultato di una convergenza di diverse idee riguardanti gli oggetti, un dato ambiente architettonico preesistente e la proiezione di spazio, tempo, luogo e oggetto-scala. Nel “Castello” si trova un'enorme stanza con un soffitto a cupola alto 15 metri e al primo piano un pozzo che scende fino al piano terra. Il concetto-base de “ La Scala ” è un qualcosa che sta tra l'idea di castello e di pozzo in cui una funzionale scala a pioli, arte folk (americana) e miniature di pozzi fatte a mano sono contestualizzate in una reciproca relazione.

 

Guardiamo oltre ... Secondo te, le arti visive stanno vivendo un momento di significative modificazioni o di stasi?

Di sostanziale cambiamento. È inevitabile per via dei tempi. Comunque, in questa “Fin de Siècle”, come nella precedente, l'arte radicale è spesso coeva a quella di tipo sentimentale.

 

L'arte del corpo ha ancora qualcosa da dire?

Penso che la “Body art” degli anni ‘70 con Vito Acconci e alcuni rappresentanti della scuola di Vienna sia stata molto significativa. In genere quella più recente, al confronto, è troppo romantica, teatrale e nostalgica. È una Body art più “Fin de Siècle”. Non la trovo propositiva.

 

Come consideri l'uso dei mezzi della tecnologia avanzata?

La radicale evoluzione nella scienza dell'informatica (penso al fenomeno del super high way, a ciberspace), se da una parte ha collegato i nostri cervelli direttamente con l'immagine sullo schermo e li ha fatti diventare un tutt'uno con il computer, dall'altra ha generato una reazione nei giovani i quali portano anelli e disegnano i loro corpi come a dire: temo di perdere l'identità e di diventare un fluido trasparente come in un film di fantascienza... Cioè, cercano di sentirsi reali. Solo ora io sto iniziando a lavorare con un computer, ma sono più in relazione con l'idea che ogni oggetto nel mondo è un evento visionario; che è già un lavoro d'arte. Quando lavori davanti a un computer tutta l'informazione è lì dentro: scegli, selezioni, raccogli e poi giochi. Io faccio la stessa cosa con gli oggetti: scelgo, seleziono e gioco; non li realizzo. Perciò vedo un'analogia tra la mia attività e quella del computer, col suo linguaggio che sta diventando sempre più invasivo, comune.

 

Ritieni che ci sia una questione morale collegata con la funzione tecnologica?

È molto difficile rispondere. L'etica o il credo, l'integrità di noi stessi, l'abilità di distinguere tra il bene e il male sono i gravi problemi di questo secolo dovuti alla rapidità di cambiamento tecnologico. La questione etico-morale rimane attaccata alla tradizione umanistica e, quando ti trovi a scegliere, lo devi fare criticamente, mettendoti ad una giusta distanza che permetta di vedere bene, anche per sapere quando fermarti, oppure verificare verso quale meta ti stai muovendo. Bisogna chiedersi questo man mano che entriamo in nuovi spazi.

 

Per finire, cosa pensi della situazione artistica italiana?

È ed è stata chiaramente parte di un discorso internazionale. Certe volte ha contribuito fortemente all'evoluzione dell'arte contemporanea. L'Arte Povera ha avuto ed ha un'influenza fondamentale su molti artisti americani. C'è parecchia energia in Italia, anche in termini di educazione civile o nel senso di relazione tra illusione e significato. Inoltre, c'è sensibilità. Quando uno è in Italia, vive sulla pelle una straordinaria sensazione che non capita in nessun altro luogo. Almeno in me scatta un particolare tipo di affetto, simpatia, carica emotiva. Questi elementi, per esempio, sono presenti nel lavoro di Spalletti che molti americani non capiscono. La sua arte dà un contributo unico che manca altrove. Vorrei anche nominare Pistoletto che in più fa trasparire l'aspetto tutto italiano della teatralità. Se guardi un'installazione di Pistoletto, senti che è completamente italiana. Da voi c'è una consapevolezza sempre esistita, che è parte dell'arte contemporanea e della sua tradizione-evoluzione, come della musica incomparabile di Verdi, unica per la sua fluidità melodiosa, spaziale, di immagine che si è potuta formare solo in un certo contesto.

luglio-ottobre '95

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 76, febbraio-marzo 1996, pp. 36-37; traduzione dall'inglese di Kari Moum]