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ALBERTO ZANAZZO PDF Stampa

Perché sei particolarmente interessato all'antica Grecia e al Rinascimento?

Mi affascina una civiltà nata nella frammentazione territoriale (le isole), dall'incontro di molteplici etnie e culture riuscendo poi a produrre profonde riflessioni filosofiche e politiche, a concepire una mitologia in cui gli dèi hanno le stesse debolezze e imperfezioni umane, a inventare linguaggi ed equilibri tra ordine e caos, secondo regole che non degenerano mai nella ripetitività. Proprio l'estate scorsa sono tornato a Creta per meditare dei lavori: lì, artigianato, scultura, pittura, architettura, ingegneria e urbanistica partecipano, ciascuna con le proprie norme disciplinari, ad un progetto unitario. Come nel Rinascimento quando, in altri termini si incontrano paganesimo e cristianesimo; come, ancora, in un'accezione moderna, nell'esperienza del Bauhaus: sono passaggi storici in cui si azzarda un progetto che interconnette vari aspetti della realtà. Ma il discorso è più complesso e lo sguardo non deve essere nostalgico perché sia propositivo.

 

Di quanta cultura ha bisogno la creatività per esprimersi al meglio?

Non credo esistano ricette universali per la creatività e non sottovaluto l'importanza dell'intuizione (che però non viene mai dal nulla ), della casualità (che ha comunque le sue leggi , probabilistiche). Ma nella realtà complessa in cui viviamo è necessario essere nel mondo con una consapevolezza critica in equilibrio fra ragione ed emozione come garanzia contro gratuità, mistificazioni, catastrofismi ed euforie sempre inclini a manipolazioni totalitarie. Per essere credibili e saper distinguere tra conoscenza, cultura (culinaria, botanica, artistica...) e una somma indifferenziata di informazioni, fra creatività e mode; per competere con linguaggi più agili e sofisticati, o semplicemente più coerenti con le esigenze pratiche del villaggio globale, non è sufficiente buttare l'acquerello e armarsi di tecnologia: beate banalità escono tanto dalla tavolozza, quanto dagli schermi. La sfida, per l'arte, oggi è più che mai sostanziale, non solo formale.

 

Per essere innovativi è meglio non essere smemorati...?

Dalla storia non si può prescindere. Anche ignorandola si compie una scelta storica , per il semplice fatto che esistiamo in un certo momento e in un certo luogo. Persino chi esprime valori spirituali differenti, come cristianesimo e buddhismo, attribuisce un senso preciso a questo attraversamento terreno (e il vuoto buddhista è un pieno in cui si scorgono relazioni fra le cose, non è certo il nulla nichilistico o la terapia per qualche attore in crisi). Che questo universo sia il risultato di una situazione, di uno stato fisico precedente, è poi la convinzione di uno scienziato come Ilya Prigogine. Credo ci sia sempre una memoria (biologica, psicologica, individuale, collettiva) che guida pensieri ed azioni. Non mi convincono le finte libertà espressive. La sospensione necessaria è invece l' ascolto oltre se stessi e le proprie convinzioni, per dialogare col mondo e creare nuovi nessi fra persone, cose, eventi. E può essere praticato come intervallo, come distanza necessaria.

 

Complessità come interazione delle culture; sfida per capire la realtà; tentativo di imitare l'ecosistema e di perdersi nel cosmo... Essa va individuata solo nei grandi eventi?

Il paradosso della farfalla di Lorenz, cioè il piccolo evento che incide a distanza su un evento macroscopico, credo vada interpretato anche nel senso dell'etica, della responsabilità. Posso sbagliare, ma intravedo strette relazioni fra la pulizia etnica , la pretesa di chiedere a una famiglia un affitto superiore a un decimo di uno stipendio medio, il lancio di una bomba atomica, il concetto di un'arte privatistica.

 

Il tuo lavoro nasce da un progetto critico che tiene conto dei processi conoscitivi e della comunicazione, ma il tuo messaggio non è affidato agli usuali codici della comunicazione e parla con un linguaggio specialistico. Abitualmente, poi, mescoli la mitologia e la storia con i fatti della cronaca quotidiana...

...Ma anche scrittura, performance, strumenti tecnologici e artigianali, diversi linguaggi e idiomi (in uso, scomparsi o classici), secondo un progetto che verifico nella realtà. Cerco un linguaggio articolato attraverso molteplici riferimenti, stratificazioni e scarti del senso. L'arte consente accostamenti proibiti alle discipline esatte e la comunicazione, oggi, è complessa.

 

Operare a tutto campo può complicare la comunicazione. È possibile rapportare l'individualità d'un prodotto creativo, peraltro denso di concetti e di stratificazioni culturali, ad un pubblico normale in una realtà in divenire e in un contesto sociale che reclama le semplificazioni?

L'eleganza e l'energia della sintesi sono rare e comunque derivano dall'esperienza, dal percorso compiuto o da una cristallina testimonianza. Ha un significato diverso la frase “sono un credente”, pronunciata da Berlusconi o da madre Teresa di Calcutta; parlare di libertà con Gigi Sabani o con Norberto Bobbio; ridere con Lino Banfi o con Dario Fo, leggere Liala o Pasolini. Non è questione di gerarchia (ognuno ha diritto di essere come vuole): è questione di pertinenza (d'altra parte chi si farebbe operare da un maniscalco?). La semplificazione del messaggio, invece, è spesso associata a una falsa idea di libertà d'espressione che ha assunto la cultura del frammento, fraintendendola, solo per eludere le responsabilità. Nell'arte è più arduo verificare, per reticenza ad uscire dalle facili equazioni di un sistema protetto.

 

Ritieni che l'opera nuova possa essere recepita solo da una élite?

Credo sia un falso problema, se la sedicente élite è quella (ora esposta al museo delle cere) che identifica valore e quotazione economica dell'opera. Inoltre, non credo siano in molti a poter apprezzare la differenza fra una madonna di Raffaello e una di Caravaggio; per non parlare del lavoro di Duchamp (e, azzardo, anche fra molti addetti ai lavori ). Ma proprio perché l'arte ha carattere individuale, talvolta clandestino rispetto alle situazioni consolidate, e la didattica non può essere prioritaria (non si può censurare un'idea perché non conforta le aspettative e crea disorientamento), ecco la necessità di non chiudersi nell'individualismo da falsi profeti, ma cercare connessioni, articolare il linguaggio, qualificare il messaggio. Dalla mia pur parziale esperienza nei mass media, ho avuto modo di verificare una risposta positiva del pubblico a sollecitazioni più elaborate, che inficia la pretesa teoria sulla richiesta di sole semplificazioni e volgarità.

 

Consideri la tua collaborazione alla RAI e alle riviste complementare alla pratica artistica?

Certo, sono approfondimenti in più direzioni. Come pure questa intervista o altri momenti di vita. Sono tutte esposizioni o, per usare il titolo di un mio lavoro nel tempo, sovraesposizioni : saturazioni che generano una rarefazione diversa dal nulla di cui si diceva.

 

La tua coraggiosa coerenza è sostenuta dall'ideologia? Non è possibile fare arte senza la politica?

Argan diceva che l'ideologia è la forma politica dell'immaginazione. Come la storia, è impossibile eluderla: l'indifferenza, scriveva George Grosz, è automaticamente un'aiuto incondizionato al potere istituito. Non considero, quello che si affaccia al terzo millennio il migliore dei mondi possibile, quindi dubito di chi sostiene di essere apolitico, apartitico, neutrale, obiettivo. La mente non può fare a meno di progetti e l'intelligenza sta nel coltivare anche l'autocritica. Dante, comunque, non era certo indifferente ai fatti politici a lui contemporanei e ha composto un'opera senza tempo. Dimenticavo: io sono di sinistra.

 

Ho constatato che i lavori da te eseguiti nel tempo si relazionano fra loro e i successivi attualizzano i precedenti. Penso, ad esempio, a “Sur l'eau” del 1987-89 con l'elemento acqua (tratto da un aforisma di Adorno) che si ricollega alla scritta del timbro-opera “On the air” di un anno fa?

Giocando sul passaggio dall'era dei pesci (segno d'acqua) a quella dell'acquario (aria) in cui entriamo, le due sigle si pongono come poli di riferimento per molti lavori, ma con un senso traslato, reinventato. C'è sì il simbolismo dell'acqua come elemento in cui ha origine la vita, e l'aria come mobilità, ma il passaggio collega piuttosto due indicazioni: dall'aforisma di Adorno, il rifiuto di andare con le mode; e da “On the air”, la necessità di essere sempre “In onda”, in ogni direzione.

 

Chi ti dà la fede di continuare per la difficile strada scelta?

La drammaticità e insieme la ricchezza di possibilità in questo passaggio storico. Ma soprattutto i miei limiti incolmabili, pur lavorando su frammenti non mi imbarazza ammettere di cercare barlumi di assoluto e di armonia.

 

C'è in te l'intenzione di relazionare tutto e il desiderio di uscire dall'opera per entrare nella vita con la razionalità del pensiero e la libertà dell'immaginario. In che senso l'opera può essere anche uno strumento di conoscenza?

Creando dubbi, interrogazioni, aprendo prospettive, stabilendo tempi diversi, altrimenti è didascalica o succedaneo di altre discipline.

 

Come concili la necessità di comunicare con le difficoltà percettive del soggetto mentale in un ambito che esige il messaggio visivo rapido, intuitivo?

Con la diversificazione degli strumenti e dei linguaggi, appunto. Con la scelta pertinente a seconda del contesto e del momento. C'è il frangente in cui viaggia un'immagine, un concetto, una frase, e c'è il tempo dell'approfondimento. Senza propedeuticità, ma in interazione.

 

È possibile trovare un compromesso tra i diritti dell'individualità e quelli della collettività?

Ciascuno deve percorrere un tratto di strada verso l'alto. Comunicare, ricordava Lotman, ha la stessa radice di communitas e il dialogo è possibile a partire da una differenza tra interlocutori, mentre l'omologazione impoverisce il messaggio, non si ha più niente da dire. L'incontro fra diverse culture e identità è dunque fondamentale per l'innovazione e rivela la stretta connessione fra individuo e società: la storia, ancora, insegna.

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 76, febbraio-marzo 1996, p. 52]