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FABIO MAURI PDF Stampa

Nella definizione della sua poetica hanno influito più la Cultura, gli avvenimenti della vita o le esigenze spirituali?

Le tre cose insieme. Ha influito la cultura dell'esistenza

 

L'intenzione di fare arte attiva per il coinvolgimento ideologico dello spettatore quando si è formata?

Nel 1970. Sebbene non con l'intenzione di coinvolgere ideologicamente, ma di suscitare l'analisi dell'ideologia onnipresente nel pensiero. È per me una scoperta in certo senso definitiva. Dovrei definire cosa intendo per “ideologia”. L'ho fatto diverse volte. Ritengo sia ciò in cui un uomo privatamente, e segretamente, sul serio crede. Spesso irragionevolmente. Un sottopensiero quasi sempre immobile. Ferreo, contraddittorio, anche aberrante. Più che una sintesi l'ideologia è un ibrido. Spesso un mostro. Si appella all'irragionevole come al ragionevole, con fede pari.

 

Da allora le sue ricerche hanno sempre avuto un dichiarato denominatore sociale?

Di frequente, e nella direzione dell'analisi, promossa molte volte, anzi quasi sempre, con il concorso attuale di un'emozione.

 

La passione civile che manifesta nell'opera da dove nasce?

Da mio padre, credo. E dalle frequentazioni dei miei amici di gioventù: Pier Paolo Pasolini, Michele Ranchetti, Giovanna Bemporad e altri.

 

Cosa ha rappresentato per lei Pasolini e cosa le è rimasto del rapporto di amicizia con lui?

È il giovane maestro della mia adolescenza. Mi è rimasto tutto ciò che ho amato: un grande affetto tra di noi, una grande amicizia, e la memoria intatta di un'idea di arte e poesia come impegno permanente, quasi unico.

 

Nella sua produzione che ruolo assegna al ‘silenzio' in cui sono immersi cose e fatti ?

Il silenzio mi infastidisce. È metafisicamente irritante. Tendo a farlo parlare, e a scoprire ciò che nasconde. È uno ‘schermo'. Lo riempio di segno o interpretazioni.

 

I suoi oggetti e le sue azioni sono senza tempo per essere in ogni tempo ...?

Gli oggetti sono al di là del tempo. Portano i segni del tempo in cui nascono, ma sopravvivono intatti al tempo della vita, di chi esiste. L'arte li usa in questo senso.

 

Quindi, fa dialettizzare il tempo della memoria storica con l'attualità per rendere più credibile l'assunto?

Sì.

 

Intromettendosi nella costruzione della storia intende dare un senso ai segni del contemporaneo?

Tendo a decifrarlo.

 

In questo momento qual è il problema cruciale del contesto odierno che più la colpisce negativamente?

Il tempo e la totalità non sembrano coincidere con il senso.

 

L'aspirazione a unificare linguaggio ed esistenza è utopia concreta?

È una necessità. Se è un'illusione, è formidabile, riesce a spiegare molte cose.

 

Che relazione instaura tra estetico e ideologico ?

Nessuna. O tutte. Il pensiero estetico è un pensiero. Non vi è pensiero che non sia, malgrado sé o consapevolmente, ideologico. È difficile sfuggire a questa proporzione che, a sua volta, lo so, è ideologica.

 

Se non sbaglio – al pari di Heidegger – lei ritiene che l'arte debba rimanere ambigua.

Senza intenzione di esserlo, lo è. A causa della natura non finita dell'uomo e del linguaggio.

 

Allora deve orientare o disorientare...?

Entrambe le cose, a seconda, certo.

 

Evitare la piena decodificazione dell'opera aiuta o reprime la percezione?

Me lo sono chiesto più volte. Tendo a decodificare completamente fino a tramutare la sua didascalizzazione in una forza. Non temo di capire, né di essere esplicito in ciò che mi sembra di aver compreso.

 

Il prodotto artistico finale ha un'altra verità da raccontare?

Racconta la tua verità, ciò che tu credi tale, a suo modo. Questo fenomeno, o trascendenza dell'arte, è curioso. Non si estingue mai. È materia, per me, di continua osservazione. Spero di capire qualcosa di nuovo nell'esame ravvicinato di questa condotta dell'azione espressiva.

 

Ma il suo obiettivo primario è di condurre nell' invisibile poetico o mira ad emozionare per scuotere le coscienze?

Scuotere una coscienza è già spingerla anche verso l'invisibile poetico.

 

L'allegoria a cui fa ricorso di fronte a quale soglia deve arrestarsi per non annullare l'oggettivo?

Non c'è una regola, né un canone. C'è una misura esatta affidata a qualcosa che è l'esperienza, la sensibilità, un'idea interna, mobile, su ciò che è materiale o meno, reale o no, autentico o falso.

 

Per lei fare arte è un “esercizio spirituale” che spazia dal poetico al politico?

Non sono elementi distinti. Nell'atto poetico coincidono, possono coincidere più cose, che si presentano diverse.

 

Il lavoro che meglio rappresenta le sue intenzioni artistico-sociali...

“Che cosa è il fascismo”. Ma anche “Manipolazione di cultura”. Oppure “Che cosa è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo”. Forse domani sarà lo ‘Schermo', le ‘Proiezioni', di nuovo. La memoria e il giudizio sono basi inavvertitamente mobili.

 

Nei suoi interventi che tendono a drammatizzare si può vedere anche una elevazione mistica?

Credo di essere un uomo molto religioso. Spero di non illudermi.

 

In che misura il suo lavoro è anche pulsionale?

Completamente. Soprattutto all'inizio, quindi alla fine. Ragione e passione operano scambi continui lungo tutto il percorso espressivo.

 

La sua idea di ‘arte globale' che l'ha portata a scrivere, a fare pittura, teatro, performance e musica, oltre che dal Futurismo, da dove proviene?

Da un ideale. Ho operato sintesi in molte, diverse vocazioni. Non ne ho rinunciata nessuna. Ho molto faticato. In parte sono stato premiato. Ci è voluto tempo e resistenza. In qualche modo la mia vita è segnata da questo sforzo di fare stare insieme cose tra loro distanti. Fino a che ho compreso che non indulgevo solo a una natura, ma perseguivo, e mano mano scoprivo, una unità essenziale dell'espressione. Vi è un punto nascosto, ma nemmeno tanto, in cui le cose comunicano tra loro, ed introducono ad un altro punto in cui le cose sono una cosa sola.

 

Quale ruolo assegna alla spettacolarità nella comunicazione estetica ed ideologica?

Un ruolo ampio. Se controllato dalla ‘misura', che è la regola della comunicazione poetica.

 

Che funzione attribuisce alla musica nelle performances ?

Un valore ‘pari'. Quella di un segno di una superlingua, l'espressione d'arte.

 

L'azione performantica è tutta studiata in anticipo?

È tutta studiata. Non in anticipo. Si forma nel tempo di composizione di un lavoro.

 

L'evento che costruisce artisticamente deve prima essere vissuto intensamente?

Se dire ‘vissuto' ha lo stesso valore che dire ‘pensato', senz'altro ‘sì'.

 

La performance è imposta soprattutto dalla complessità del reale o dalla necessità di interessare più sensi?

Dalla complessità del reale. Solo da questo. Il secondo termine non è un'intenzione. È una conseguenza. Semmai è un modo di comportarsi contratto nell'espressione. Nell'abitudine ad aggredire le resistenze, e metter mano ad un linguaggio, indifferentemente, per riuscirvi.

 

Il suo linguaggio colto e sottile parla solo ad una élite o ha i requisiti per coinvolgere anche un vasto pubblico? In altre parole, per chi cerca di rendere attiva l'opera?

Per un interlocutore, è certo. Non so quale. Forse sono io. E anche altri, simili o dissimili. Si hanno delle sorprese in tale senso. Un'opera ben fatta spesso è popolare. Altre volte bisogna attendere molti anni prima che venga semplicemente ‘vista'. È un fenomeno noto. Non cessa di stupirmi.

 

Dopo varie esperienze virtuali e reali il mass-medium resta ancora uno strumento nuovo per riproporre agli spettatori immagini di fenomeni da partecipare?

Non lo vedo come strumento nuovo. La sua funzione mi sembra uguale. Si è solo estesa. La sua quantificazione deve avere mutato molte cose. La osservo con attenzione, non mi attira.

 

Il suo atteggiamento nei confronti della comunicazione interattiva della nuova tecnologia mediale.

Forse non ho capito bene la sua realtà. Non ne sono particolarmente attratto, come dico.

 

Dal quadro all'istallazione, all'integrazione performantica; dall'idea all'azione. È ancora alla ricerca del mezzo più congeniale per trasmettere il messaggio?

Cambierei volentieri il termine ‘congeniale' con ‘adatto'. Si modifica nel tragitto per circostanze diverse ed esterne. “Che cosa è il fascismo” era nella mia intenzione, una mostra di oggetti (fascisti). È diventata una ‘performance' di persone come oggetti. La regola della trasformazione da una specie all'altra è misteriosa. La interrogo da parecchio tempo, ma non ne capisco del tutto la meccanica. Sembra accidentale, ma alla fine appare sostanziale. Non lo so ancora. Cerco di capire cosa c'è di ulteriore da capire in questo processo, che si ripete, malgrado me.

 

Come artista sente di avere una responsabilità etica?

Come individuo senz'altro. In modo molto forte. L'arte rinforza questa autopercezione.

 

L'impegno dell'intellettuale fin dove dovrebbe spingersi?

Fin dove sa vedere, capire e, se intende farlo, manifestarsi.

 

Fare arte “per legittima difesa” - come lei dice – può significare che usa il suo spirito anarchico non per attaccare...?

Spesso è stato così. Altrettante volte ho attaccato. L'atto poetico fonda su l'incompatibilità con il proprio contrario. L'avversario è presente in una formulazione poetica. Argan diceva: “Contro chi è dipinto quel quadro?”.

 

La sua opera-azione ideologica, in un certo senso ‘mondana', anche se basata più sui contenuti che sulla contemplazione, in fondo resta un'operazione intellettuale.

È un'operazione intellettuale . Era anche l'idea di Michelangelo. Chiamava lo scultore, il poeta, l'architetto, il pittore: ‘intellettuale'. Non ho mai conosciuto artisti al di fuori della loro mente. Vi sono oggetti meravigliosi composti dal tempo e da elementi naturali (vento, usura, acqua, terremoti) se non è stato l'uomo, chi è stato? Il caso? Dio? La Casualità ? La supergravità? È un enigma estetico non indifferente. Forse il tema dell'arte e dell'estetica sono due problemi della riconoscibilità che coinvolgono il tema dell' oggettività dei fenomeni e delle categorie in cui la mente li coglie. La filosofia inquadra bene questi temi e problemi. Non li risolve sempre, ma li snida perfettamente. L'arte contemporanea non segue più i modelli di bellezza dell'universo, tende soprattutto a capirne il processo. Per cui si vede la Terra , la si riconosce, attraverso un ‘occhio d'arte' o estetico che ha colto le ‘forme' dei sistemi. Comunque, fare arte, io credo, impartisce realtà al mondo, la realtà del senso, del simbolo, dell'interpretazione, dell'immaginazione, dell'esperienza, del giudizio, dell'individuazione ‘formale' del mondo. Di continuo si fornisce materia a l'invisibile, il suo contenuto fisico, corporeo, direi. L'invisibilità, quale luogo di caos e di chiarezza. Altrettanto che il mondo materiale e visibile. Lo scambio tra le due realtà, se tali, serve ad entrambe. La parola definisce l'invisibile. Un rumore delimita un silenzio, una forma conferisce senso a un collo di bottiglia. Questa è l'arte, uno scambio tra enigmi. La verifica tattile di un sistema complesso, invisibile. E viceversa. Sono temi che mi coinvolgono. Meriterebbero uno svolgimento più preciso, meno assiomatico e rapido. Chi si esprime, deve sempre, in qualche modo, contentarsi.

Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste) , n. 77, aprile-maggio 1996, pp. 44-45]