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PIER PAOLO CORO PDF Stampa

Quando hai iniziato ad esprimerti con il linguaggio del corpo?

Nel 1988 con brevi azioni in cui potevo manifestare l’appropriazione antropologica di un percorso (già sviluppato in pittura) diretto verso una condizione più fisica di luogo, materia e spazio che mi desse una percezione reale del tempo presente in cui il corpo assumeva un’inevitabile centralità.

 

Come si differenzia la tua performance da quella degli anni ‘70?

La performance di allora si identificava in una precisa prassi politico-ideologica e l’artista era il vero eroe del suo gesto. Oggi il gesto viene sempre più suggerito da comportamenti materiali indotti dai consumi e dalla merce.  Il crollo delle ideologie, le nuove tecnologie, i nuovi sistemi di comunicazione e la sperimentazione genetica impongono un diverso legame col proprio corpo che è sì più libero, ma va anche incontro a pericoli, quali l’omologazione, l’annullamento dell’identità emozionale, le questioni etiche. In questo senso le mie azioni sono per un valore di corporeità che ancora ci appartiene, in continua trasformazione tra presenza e assenza.

 

 ...Racconta solo il tuo corpo?

È quasi sempre un veicolo legittimo ed illegittimo. Certi lavori traggono origine da circostanze e situazioni casuali. Parlano di cose che ho visto o letto, nascono, come dire, dietro le quinte. Ma spesso il lavoro o la narrazione sta nella relazione e nella comunicazione dei movimenti che si fanno per cercarla. Ad esempio, nella mia performance “A nudo o del dis-velamento” il corpo è stato il veicolo della rappresentazione in atto, ma non è più importante delle distorsioni ed estensioni dei movimenti che il corpo stesso produce.

 

...Deriva da un progetto ?

Non mi sono mai posto il problema di inseguire una strada, di raggiungere una meta; la direzione è quella del pensiero, del desiderio di apprendere, del confronto. In questa valutazione vedo un progetto quotidiano caratterizzato da una paziente ed umile disciplina che dà il tempo di soffermarsi interiormente, ma anche di rapportarsi con chi vuole ascoltare e vedere. Questo è molto importante.

 

In che modo entra il quotidiano, l’esistenziale nel tuo lavoro?

Nel quotidiano il corpo è il non luogo per eccellenza, con la sua liturgia di gesti che interrogano e riscrivono i nostri bisogni reali.

 

Che tipo di relazione vuoi instaurare tra arte e vita?

La sinergia tra le due entità - come sai - è una questione molto dibattuta, ma anche molto equivoca. La sensazione che spesso la realtà sia da tutt’altra parte rispetto al sistema dell’arte, rimette in discussione il ruolo che l’artista può avere nella società contemporanea. Stabilendo relazioni ci si attiva in più modi e in diversi ambiti, ma è anche necessaria una pratica quotidiana nella quale si mettono a dura prova i valori, le scelte che generano il rischio. Solo in questo modo l’arte è viva e vitale.

 

Con l’aspetto poetico-immateriale intendi mitigare la sofferenza e la presenza fisica?

È una componente che implica un impegno ed una attitudine al lavoro, attenta quanto quella della più complessa costruzione materiale. È importante la corporeità intesa come spazio poetico assoluto, ma anche come disciplina visiva del fare arte con un oggetto attivo. Soprattutto nel teatro di ricerca si applicano queste forme.

 

L’azione effimera è anche finalizzata alla ri-produzione delle immagini e dei resti dell’evento per autoesporti?

Le rielaborazioni delle immagini fotografiche e video tratte dalle azioni hanno un’autonomia visiva, al di là della specificità dei generi o di necessità autoreferenziali.

 

L’esibizione seconda, anche se visivamente catturante, è una clonazione riduttiva, frammentaria, virtuale e rappresentativa...

Le azioni non hanno la finalità principale di essere documentate (se questo avviene è perché il lavoro va divulgato) e non sono rivolte alla registrazione dell’evento concluso. Non è importante evocare una ripresa d’effetto, ma rivelare l’intensità delle immagini e liberarne il potere linguistico nella dissoluzione dei generi.

 

...Fa circolare l’opera, ma si perdono l’emotività e i mutamenti più reali e vitali che motivano il gesto corporale-introspettivo...

Non si tratta di immagini volute o rubate all’universo del reale che nella rielaborazione coniugano, in un unico senso, nuova tecnologia e definizione estetica, innescando riflessioni. Voglio dire che tutti gli oggetti che parlano al presente trasmettono al meglio l’emotività dell’atto che li genera.

 

Ho notato che, a volte, al tuo posto fai interAgire altri individui o addirittura oggetti sensibili, non-viventi...

Questo dipende dall’idea, non dalle caratteristiche del lavoro cui devono per forza corrispondere delle scelte. Una volta ho coinvolto una ragazza facendole indossare un sudario per mettere in relazione l’abito (con la sua carica mistico-emozionale) con i postumi di un grave incidente da lei subìto, rivelando visibilmente l’inafferrabile bellezza dei segni dell’esperienza che erano le cicatrici. Ma le circostanze, le storie, il rapporto con le persone, altre soggettività anche fuori del sistema dell’arte sono molto presenti, al punto che, certe volte, io mi sento solo una comparsa rispetto allo sviluppo del lavoro.

 

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 86, febbraio-marzo 1998, p. 64]