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PAOLO CONSORTI PDF Stampa

Paolo Consorti, subito dopo gli anni della formazione, aveva mostrato di possedere un’insolita vocazione pittorica, con paesaggi mitico-mistici  caratterizzati da un citazionismo associato a libertà immaginativa. Poi, con coraggio, abbandonate le rappresentazioni naturalistiche e archeologiche, che gli procuravano consensi, si dedicava ad una ricerca linguisticamente più disinvolta, senza però rinunciare alle peculiarità del medium tradizionale e, tanto meno, tradire le motivazioni di fondo del suo lavoro. Così introduceva nel quadro una gestualità informale che disarticolava e dinamizzava la composizione. Da qualche tempo ha iniziato a guardare più direttamente all’uomo contemporaneo relazionato allo spazio esistenziale e cosmico. Oggi elabora il soggetto-quadro con procedimenti più ‘attuali’ facendo dialettizzare tecniche e culture diverse: dalle classiche alle informatiche. Riesce in tal modo a far convivere le qualità della materia pittorica, trattata con abilità manuale, con le nuove tecnologie, creando una sintesi di forte impatto visivo ed emozionale. Tutto ciò non per aderire passivamente alle esteriorità dell’esperienza quotidiana, bensì per ricevere sollecitazioni che inducano a riflettere sulle incertezze del destino umano. Da qui le visionarie deformazioni e le mutazioni di corpi in cerca di una identità più profonda e antropologicamente conseguente. Allora il rapporto con la realtà e la complessità delle contaminazioni non è che un pretesto per affermare, sia pure con forme ambigue, idealità che vogliono espandersi nella sfera universale facendo assumere al prodotto estetico una valenza etica.

 

Per chi come te fin dagli esordi ha mostrato una spiccata vocazione pittorica, perché è necessario utilizzare anche le tecnologie informatiche?

Come la pittura, anche le nuove tecnologie, che sono dentro le mie opere, restano un mezzo. Sono strumenti senza valore intrinseco che impiego per il raggiungimento di certi scopi; soluzioni come quelle dell’antichità. Pensa ai cartoni! Io uso la videocamera e progetto al computer, ma ciò non cambia il senso del lavoro.

 

A quali altre contaminazioni sei più interessato?

Mi piace far incontrare e convivere mondi lontani. Mi servo di varie fonti. La contaminazione è anche nel procedimento tecnico, ma per me deve avere soprattutto un valore visivo. Per questo, ad esempio, mi interessa il cinema. Recentemente ho lavorato ad un video e trovo che sia un linguaggio a me congeniale perché mi permette di continuare a lavorare sull’illusione dello spazio e sul movimento.

 

Per soddisfare il bisogno di esplorare altri spazi anche non terreni...!?

Il mio non è un territorio praticabile: è mentale. I personaggi vivono in una dimensione astraente.

 

L’uomo tende a mantenere la centralità? A quale identità aspira?

È il fulcro morale; è solo, in contrasto con se stesso, alla ricerca di un equilibrio interiore.

 

Anche se non assumi un atteggiamento apertamente critico e di denuncia, vedo che non approvi la realtà da cui parti.

La realtà non entra nel mio lavoro con la sua integrità. L’opera è mistero, per questo non amo il realismo. Penso sia necessario proiettarsi in un contesto atemporale. Avrai notato che tutti i miei ‘attori’ si muovono come su un palcoscenico immaginario.

 

La trascendi per distaccartene...?

Sì, ma per un’esigenza naturale e non per volontà di denuncia.

 

Praticamente intendi sollecitare una riflessione su una condizione esistenziale che ritieni involutiva...

Credo che l’uomo, al di là del contingente, sia soggetto al rischio di involuzione spirituale. Corre continuamente il pericolo di perdersi, di dimenticare il senso della vita... e della morte!

 

Nel lavoro segui un itinerario verticale?

Il mio percorso ideale è una conquista tutta interiore.

 

In questo senso la tua è un’esperienza che vuole differenziarsi dalle altre incentrate sul “corpo”!?

Uso il corpo come metafora. Le esasperazioni formali, le distorsioni accentuano certe caratteristiche, offrono chiavi di lettura, introducono a itinerari mentali.

 

Gli esseri ambigui e sfocati che vagano nell’universo virtuale dei tuoi quadri cosa hanno perso e cosa cercano?

Se stessi.

 

Perché ti rivolgi all’arcaico e al mitico?

Non si tratta di arcaico o di mitico tout court, ma di componenti non  riferibili ad una tradizione specifica. Sono soluzioni immaginarie che alimentano una voluta ambiguità tra passato remoto e possibile futuro.

 

In fondo, il pessimismo che traspare dall’opera è stemperato dalla speranza, anche se nella dialettica tra entità opposte le problematiche restano aperte...

Tu conosci anche il mio lavoro precedente e sai quanto l’idea di ascesi e il desiderio di sciogliere certi contrasti sostengano una speranza finale. Le tensioni, comunque, restano presenti e gli esiti si articolano come intorno a un sismografo.

 

Più che dare giudizi strumentalizzi le icone del quotidiano rendendole aggressive e allusive.

Considero il quotidiano luogo di materiali da manipolare. Il vero problema è ritrovare la dimensione interiore, spirituale. Le manifestazioni della realtà sono utili se funzionali alle mie reinvenzioni.

 

In sostanza l’opera sottende un messaggio religioso, conservativo e salvifico...

È un discorso sull’individuo e per l’individuo che presuppone la tensione verso un obiettivo alto. Certo questo si mescola al piacere estetico e tutto concorre al risultato finale.

 

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste), n. 97, aprile-maggio 2000, p. 59]