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PIERLUIGI PUSOLE. Le identità degli Standard PDF Stampa

Luciano Marucci: I nostri sono stati “incontri in galleria”. Da “Cannaviello” nel 1994 esponevi la serie “Super-mondo”. Due anni dopo inaugurasti “Io sono Dio”, in cui ti identificavi con il Creatore e il “soggetto” visivo-mentale nasceva dal “vero”. Di recente ci siamo rivisti per la collettiva “Colori primari” alla Galleria dell’Arancio Artecomtemporanea, dove hai portato alcuni esemplari dell’attuale ciclo “Standard”, con il quale sei ridisceso sulla terra… per elaborare immagini mediate da fotografie di semplici avvenimenti del quotidiano. Quel giorno ho pensato di approfondire il tuo lavoro ed eccomi qui per un’intervista dialogata…

Pierluigi Pusole: Vorrei subito puntualizzare che quanto sto facendo è il risultato di un lungo cammino dove la ‘serialità’, apparsa in alcuni periodi precedenti, nell’attuale ciclo degli “Standard” è meglio focalizzata. Perciò conviene concentrarci sull’ultima produzione, più descrivibile e più interessante in senso evolutivo.

 

Quali le differenze sostanziali con il ciclo precedente?

La serie “Io sono Dio” non partiva, come faccio ora, da immagini fotografiche, ma inventate. Era caratterizzata da una linea d’orizzonte  e dalla necessità di reinventare il paesaggio. Diciamo che ho corso il rischio di diventare un pittore astratto. Oltre certe raffinatezze, oltre certe evoluzioni, l’opera tende a rarefarsi, quindi, il lavoro poteva prendere uno sbocco che non mi avrebbe certamente dato gli sviluppi a cui sono giunto. Non so se hai presente il catalogo giallo della mostra da “Cannaviello”… Praticamente c’era un quadro solo nelle sue varianti, che non mi consentiva di sviluppare appieno le potenzialità pittoriche e fantastiche. Il percorso di “Io sono Dio” era teoricamente interessante, ma devo ammettere che mi portava ad essere piuttosto limitato, visto che sono per lo sviluppo massimo della creatività.

 

Sei arrivato agli “Standard” razionalizzando le pulsioni dell’esperienza pittorica?

Io ho sempre avuto questo approccio di ricerca. Da un lato vedo il quadro come campo in cui si compie una specie di esperimento e dall’altro come luogo del mistero, perché l’esito finale sfugge. Per quanto si possa teorizzare, finché non termino un lavoro, le cose restano a mezz’aria. All’inizio applico una metodologia quasi scientifica; alla fine interviene il fascino dell’imprevedibilità.

 

Ora, più di prima, colore e segno concorrono con pari dignità a comporre l’opera?

Con gli “Standard” ho delle potenzialità straordinarie. Grazie all’immagine che mi fa da base, annullo quasi il soggetto e posso rielaborarlo come voglio. Uso tecniche miste, mai una sola.

 

Pratichi ancora il procedimento della “casualità programmata”?

Con gli “Standard” non ha a che vedere più di tanto. Faceva parte del procedimento di “Io sono Dio”. Allora classificavo addirittura le ‘asciugature’ sui quadri con alcune varianti che provocavo manualmente. Quindi, c’era una doppia casualità: quella spontanea e quella voluta. A volte, per trovare altri esiti, aggiungevo dei segni con la mano destra, mentre io sono mancino.

 

Il rapporto astrazione-figurazione va mutando?

L’unica cosa che in precedenza non mi faceva diventare un astrattista era la linea d’orizzonte sul paesaggio di cui ti parlavo. Adesso, con un’immagine che è reale, non devo più preoccuparmi. Con gli ultimi quadri si ha una lettura più figurativa. Certamente non in senso stretto…

 

L’astrazione era evidenziata dalle espansioni cromatiche…

Quando mi trovavo a dipingere un paesaggio, non mi confrontavo con un soggetto, perciò la situazione a livello pittorico si complicava. Poi c’è il fatto fondamentale che a me piace il tanto e con il percorso precedente le possibilità, dopo un po’, andavano diminuendo. Oggi è completamente diverso.

 

Spesso, analizzando la tua produzione si pone l’accento sul “sistema formale” da te enunciato e sulle componenti strutturali, trascurando un po’ il messaggio finale, come se ci fosse bisogno di giustificare il medium prescelto. Al di là dell’opportunità di questa lettura, mi sembra importante addentrarsi in altri aspetti sostanziali.

Dilatazione e levitazione dell’immagine, espansione simbolica del colore, evaporazione della materia e irradiazione luminosa, metamorfosi evocative, tensione verso l’alto e tentativo di dare un volto all’invisibile non scaturiscono soltanto dal calcolo…, ma da istanze profonde e forse anche dal bisogno di trascendenza e di sovrannaturale… Condividi queste ‘osservazioni’?

Solo nella prima parte, perché io mi riferisco soprattutto a un sistema formale.

 

Comunque, in-consapevolmente cerchi di visualizzare un’idea religiosa?

Eliminerei “in”. Cerco “consapevolmente”. La mia intenzione è fortemente religiosa.

 

Intendi dare spazio all’irrazionale?

Mi piace l’idea religiosa, ma non mi propongo di dare spazio all’irrazionale, anche se c’è. Io stesso mi sorprendo del risultato… Mi trovo a metà strada. Il mio è un lavoro che da una parte nasce da un progetto ed è teorizzabile; dall’altra deve avere una sua magia finale.

 

Hai inclinazioni mistiche?

Quando Gianni Romano ha curato il catalogo di una mia mostra mi ha definito “un romantico che crede nella logica”. Questa lettura mi è sembrata giusta.

 

Quindi, non misticismo come fuga dalla realtà…

No, no, …al servizio della realtà. Mi serve per confrontarmi. Con gli “Standard” resto legato ad essa; fuggire - come ti dicevo - mi avrebbe portato all’astrazione.

 

E con la strutturalità e lo sperimentalismo eviti l’abbandono romantico e il sentimentalismo.

Cerco di dare alla creatività una sorta di procedimento scientifico. In questo periodo mi trovo a cavalcare due situazioni: una metodologica che mi permette di avere un programma; l’altra aperta al risultato inatteso.

 

Vuoi affermare il primato della pittura senza offrire un prodotto autoreferenziale?

Io uso la pittura perché a me piace e mi interessa che il quadro sia formalmente avvincente. Ma con la manualità sono possibili delle evoluzioni in altre direzioni. Avendo constatato che questo mezzo mi dà più possibilità, sicuramente io sto cercando il “primato della pittura” legato alle mie intenzioni filosofiche. Con ciò non voglio dire che sia l’unico medium, il migliore.

 

Nonostante i consensi guadagnati, nel 1996, quasi istintivamente, decidesti di cambiare rotta o, se preferisci, di proseguire la tua performance, rischiando anche l’incomprensione… Privilegiare l’imprevedibilità all’ ‘assuefazione’ indubbiamente è stato un bell’atto di coraggio! Credo abbia fatto intendere che concepisci la pittura come luogo di investigazione, più che come mestiere per definire le forme abusando  delle  capacità manuali…

Poiché i miei cicli durano tre o quattro anni, posso lavorare con tranquillità. Cannaviello, che segue le mie evoluzioni, ha capito e incoraggiato la ricerca.

 

Forse il passaggio alla fase più astratta di “Io sono Dio” è stato condiviso meno…

In effetti le mostre su questa tematica erano di una certa durezza. Con il ciclo “Standard” riesco ad amplificare la sperimentazione, a lanciarmi al massimo. Un architetto, mentre sta realizzando una casa va già con la mente su un’altra e vorrebbe cambiare quella in costruzione; un pittore no. Io ogni giorno posso fare un quadro diverso e questo è affascinante. Dopo un’ideazione ne puoi concretizzare un’altra. L’approccio scientifico di cui parlavo può consentire di ottenere le varianti degli “Standard” che voglio.

 

Ti avvali sempre della velocità di esecuzione?

È una mia caratteristica. Faccio in un’ora o due anche un quadro grande. Sono lì le possibilità espressionistiche del mio gesto che è anche automatico. Non riuscirei mai a procedere in modo diverso.

 

Con l’immediatezza ridimensioni il calcolo…

Ci sono pittori che usano tecniche che offrono una lettura uniforme del quadro; il mio lavoro è distante da ciò. Se dovessi decidere tra Velasquez e Caravaggio, sceglierei il primo anche per la velocità di certi particolari.

 

A proposito, il tuo rapporto con la storia com’è?

Io mi sento un artista-pittore e mi interessano le informazioni che arrivano da chi mi ha preceduto.

 

Il quadro nasce da un’idea predeterminata?

Può esserci, ma anche non esserci, o esserci solo in parte. E può accadere che, finito un quadro, decida di farne un altro dove predomini un certo colore, ma l’ideazione può perdersi per strada. Ogni opera segue un suo percorso, però il progetto generale tiene insieme tutto.

 

Quand’è che consideri compiuta un’esperienza?

È difficile dirlo. Potrei prevederlo se la combinazione delle varianti di colore fosse finito. Il ciclo “Standard”, appena iniziato, potrebbe anche non terminare...

 

Il rito della pittura legato alla ‘serialità’ non favorisce la ripetizione meccanica? Non raffredda l’emozione?

Mi pongo sotto osservazione. Essendo un “romantico logico”, a volte mi va anche di sottopormi alla prova…, mi autoprovoco, mi metto in tensione.

 

Suppongo che ad un certo punto ci sia una verifica sul processo in atto, sugli esiti…

Certo. La faccio sempre.

 

Mettendo insieme i singoli lavori di una serie realizzata in un arco di tempo, cosa potrà venir fuori? Un’opera unica…, un percorso narrativo, …accidentato?

Tutte e tre le cose.

 

Hai in mente altri approdi?

In questo momento ho la possibilità di esaltare le capacità creative. Ti anticipo che nel mio “sistema Standard” intendo portare avanti un programma che attuerò a fine inverno con degli stages per gruppi eterogenei di persone.

 

Come entreranno in gioco?

Presenterò una decina di “Standard” per avere le loro versioni ed io rielaborerò le immagini. Quindi, di uno “Standard” avrò le mie varianti pittoriche e quelle elaborate con il contributo di altri. Mi interessano le loro interpretazioni per ricavarne emozioni. Si faranno delle rilevazioni su quali colori preferiscono, per esempio, le casalinghe e così via. Sarà curioso vedere le soluzioni, magari naïf, di certi che partecipano solo per divertimento. Pensavo addirittura a delle particolari proiezioni, molto veloci, con i lavori realizzati con questo metodo. Te ne riparlerò in seguito, perché la cosa è in fase di definizione.

 

Le possibilità della pittura in relazione alla tue aspettative sono inesauribili?

In teoria, sì. Qui torniamo al discorso iniziale, sia tecnico che contenutistico. Attenendoci alla sola questione tecnica, le possibilità sono sicuramente inesauribili. Tutto dipende dal modo di procedere.

 

Essendo sulla strada della virtualità e della smaterializzazione…, ritieni di poter accedere anche ai nuovi media?

Io sono uno dei pochi che nel tempo è rimasto in linea con la pittura, perché è il mezzo a me più congeniale. Penso che la pittura possa avere tanti sviluppi…!

 

Ma cos’è per te un quadro?

Il mezzo d’indagine per scoprire la pittura.

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 110, dicembre 2002-gennaio 2003, pp. 36-37]

 

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