Home arrow Viaggi nell'arte arrow Incontri arrow Marcello Diotallevi (dicembre 2003-gennaio ‘04)
MARCELLO DIOTALLEVI PDF Stampa
Caro Marcello, scusami se per l’intervista ti ho fatto attendere e se ora non riesco a incontrarti.

Piuttosto che addentrarmi nei diversi cicli di opere, che conosco grazie anche ai tuoi premurosi invii, ho ritenuto di iniziare accennando a ciò che penso del tuo lavoro in generale. Volevo far seguire una sola domanda plurima, ma probabilmente non ti saresti sentito abbastanza coinvolto. Così, almeno in parte, ho cambiato rotta.

Comunque, da come agisci, ho l’impressione che tu voglia sottrarti in-volontariamente ai condizionanti riti del sistema dell’arte e, in particolare, alle regole di mercato, per mantenere l’indipendenza e sperimentare nuove possibilità espressive, seguendo la volubilità delle passioni. Con i tuoi modi un po’ dada-futuristi assumi atteggiamenti irriverenti, pur adottando i canoni classici che assicurano la qualità.

In fondo l’enfatizzazione di forme e colori, che sfocia nella caricatura e nell’erotismo, significa deridere le convenzioni. E i paradossi, le speculazioni letterarie e concettuali supportano gli estremismi.

Insomma, tutto sembra finalizzato ad esibire la tua individualità, a giustificare il bisogno di comunicazione e di autopromozione.

L’intera produzione nasce dall’ibridazione di linguaggi e tecniche, fino a sconfinare, con convincente disinvoltura, nell’arte applicata (dal design alla grafica pubblicitaria).

Quando si era più vincolati alle tendenze e allo specifico, il tuo eclettismo avrebbe scandalizzato; oggi, con la riconsiderazione della molteplicità dovuta al dinamismo creativo, la tua scelta appare più comprensibile…

 

Se credi, puoi commentare le osservazioni, un po’ affrettate, di questa mia lettera aperta.

No comment!

 

Allora, procediamo. Grafico, pittore, scultore, mailartista, poeta, ‘aforista’… Qual è il tuo vero ‘mestiere’?

Non so se le attività che tu hai elencato possano essere qualificate come mestieri,  professioni o vocazioni. Di tutte, quella di “aforista” è - per chi mi conosce - la più calzante. L’aforisma verbale mi seduce, ma ancor più quello visivo. Con ciò non intendo sminuire gli altri esercizi creativi che hanno caratterizzato e arricchito la mia vita nel corso degli anni. Tutto ha concorso a fare di me ciò che ora non sono…

 

Cos’è per te l’opera d’arte?

Qualcosa che viene da molto lontano, da luoghi reconditi della mente e giunge a noi artisti per vie sconosciute, ma l’impulso creativo può essere anche un semplice fatto gestuale che talvolta non supera la misura del braccio. È la più alta espressione dell’ingegno umano. O… dell’inganno umano? Giova ricordare che in greco technìtes designa sì l’artista e l’artigiano, ma anche l’imbroglione.

 

Da quale contesto proviene la tua ludica e poetica ‘pro-vocazione’?

Marcel Duchamp è il maggior responsabile della mia ricerca artistica: una sorta di padre adottivo involontario dal quale ho appreso, da figlio eretico, alcune lezioni. Per prima, quella estetica; e più cospicuamente, quella concettuale; infine quella morale, che ritengo la più importante.

 

Dalla parola all’oggetto. Sei per l’affermazione o il superamento della ‘materia’?

Mai come in questo momento la ricerca artistica converge verso una smaterializzazione dell’opera.  Basti pensare alle ultime Biennali di Venezia, di San Paolo e a Documenta di Kassel. Il virtuale tira, ma ciò non vuol dire che l’arte oggettuale, che fa uso della materia, sia in crisi e il suo tramonto vicino. In questo decennio, in  compagnia di qualche collega, anch’io ho condotto alcune esperienze video. Per la verità, un po’ poco per uno che decide di cambiare pelle…

 

Dalla poesia visiva ai dipinti, alle opere tridimensionali e installative. Con quali lavori ti identifichi maggiormente?

Per molti anni ho lavorato in Vaticano, nel Laboratorio del mosaico. Da allora il feeling verso quella tecnica non è mai venuto meno e talvolta amo tornare “sul luogo del delitto”.

 

Perché fai da te…?

Io non ho mai creduto al vecchio adagio “chi fa da sé, fa per tre”. L’ostinazione non paga e l’opera sicuramente ne patisce. Ma un conto è avere dei collaboratori – spesso indispensabili – altro è lasciar fare tutto a loro.

 

Sei portato a privilegiare l’estetica o il significato?

Nel mio lavoro non è possibile separare significante e significato, se il risultato finale deve essere un’opera compiuta.

 

Dall’immagine mentale a quella sessuale. Qual è più stimolante?

Di tutti gli dèi, Eros è certamente il più vicino agli uomini. È sempre lui che governa gli umani desideri, sia dai piani superiori, sia dai piani inferiori – teoria e prassi. La vita – o gli dèi – hanno deciso che io facessi l’artista, ma se le cose fossero andate diversamente, avrei fatto il maniaco sessuale.

 

Ma nella tua attività che ruolo riveste la sensualità?

Zodiacalmente parlando, sono un Toro, quindi è pleonastico dire che la sensualità si riversa inevitabilmente nella mia attività artistica. Però la ragione non la perde mai del tutto di vista.

 

È ancora il caso… di praticare la Mail Art mentre imperversa la posta elettronica?

I mailartisti sono piuttosto ostinati e penso che frequenteranno questa tendenza sine die. Bisogna dire che molti di loro conducono anche una ricerca personale, come nel mio caso. La posta elettronica ci permette di tenere a distanza le seduzioni esercitate dalle Sirene della modernità. Io non uso il computer per due motivi: l’assenza dell’oggetto manipolato dall’artista e l’impossibilità di modificare l’opera durante il percorso mittente-destinatario.

 

Nel tempo torni anche sui cicli precedenti?

Fino a oggi non mi è mai accaduto, sebbene consideri aperti alcuni cicli. Altra cosa è completare un’opera che non appartiene ad alcun ciclo, iniziata molti anni prima e messa da parte in attesa di migliori auspici. Giusto da qualche mese, ho concluso un lavoro cominciato vent’anni fa.

 

Cosa ti sollecita a spaziare in senso orizzontale e verticale?

L’essenza di ogni ricerca, e quella artistica non fa eccezione, è, fuor di dubbio, la curiosità abbinata alla passione. Spinte, queste, che mantengono giovani anche in tarda età e che mi auguro di non perdere mai.

 

Vai costantemente alla ricerca di un altrove?

Io nell’altrove, solitamente, ci vivo.

 

Meglio la precarietà o la stabilità?

Se ti riferisci alla vita, direi che in medio stat virtus; se invece alludi al gesto creativo, il discorso cambia, perché la storia dell’arte ci insegna che la precarietà o la stabilità hanno scarsa incidenza sulla qualità dell’opera e sul successo o l’insuccesso di un artista

 

È possibile realizzare… la fiaba?

Io l’ho fatto ripetutamente con le mie “Fiabe al vento”.

 

È lecito de-mitizzare attraverso il quotidiano?

Non solo non è lecito, ma non lo ritengo possibile. Il quotidiano spesso è di basso profilo e non possiede la forza sufficiente a demitizzare (al massimo, a derattizzare…). Il Mito, per fortuna, è più potente anche della Storia; figuriamoci del quotidiano! Io ho realizzato l’operazione inversa: attraverso il mito ho de-quotidianizzato.

 

Oggi sono più forti le suggestioni reali o intellettuali?

Non saprei. Anche se può apparire provocatorio, il problema riguarda la transustanziazione. Secondo te, si tratta di una suggestione reale o intellettuale? Rispondere a una domanda con una domanda mi pare la maniera migliore di concludere questa conversazione a distanza.

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 115, dicembre 2003-gennaio 2004, p. 47]