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ALDO MONDINO PDF Stampa
Credo che l’originalità e la freschezza dell’opera di Aldo Mondino debbano ricercarsi principalmente nel suo temperamento indipendente che lo porta a tenersi fuori dalle tendenze e ad evitare gli schematismi, ma anche nell’amore che egli ha sempre nutrito per la pittura, nella capacità di reinventarla continuamente seguendo le passioni. E dalla sua orgogliosa individualità, dall’imprevedibilità delle intuizioni e dall’indubbia conoscenza del mestiere derivano lavori di grande qualità estetica e poetica, che piacciono sia a chi crede nella classicità, sia a quanti esigono sensibilità e linguaggio moderni. L’artista, dunque, riesce ad essere “in”, senza legarsi a teorie impersonali, ma seguendo esclusivamente l’avanguardia che è dentro di sé.

Il primo impulso lo ebbe nell’ambiente torinese, mentre andava formandosi il gruppo dell’Arte Povera e Concettuale, ma pure a contatto con i giovani che, al pari di lui, conducevano una ricerca differenziata e contestativa (eravamo negli anni di piombo… anche per le arti visive). Esordiva così con opere “aperte”, ironico-concettuali, facendo prevalere, provocatoriamente, l’elementarità e la spontaneità.

Alla fine di quel decennio, quando la “pittura” era entrata in crisi e trionfavano oggettualità ed environment, fu tra i primi a rinverdire quel medium, sia pure dipingendo con materiali eterogenei aventi speciali requisiti.

Da allora, sfidando ogni convenzione, con caparbietà e massima libertà espressiva, andava sviluppando una personale idea di arte, dissacratoria e a un tempo rispettosa dei valori ideali tramandati dalla storia dell’arte. Compiva diverse esperienze senza distinzione di tecniche, con trovate geniali e spirito neodada, e contaminava l’oggetto pittorico con il suo vissuto, introducendo reperti, citazioni più o meno colte e un’ideologia legata alle sue radici, che lo induceva a scoprire riti tradizionali.

Negli anni Ottanta la scoperta del linoleum era stata decisiva per fare pittura con un procedimento tutto suo, da cui derivava un ibrido, tra ready-made e manualità, di insolita leggerezza. Dal nuovo supporto, grazie anche alla straordinaria abilità nel caratterizzare i soggetti, sono nati i suggestivi cicli sulle tematiche esotiche.

Altro approdo significativo, quello ai ‘mosaici’ di cioccolatini, capaci di apportare nuova plasticità, nuova luce e festosità.

Oltre ai raffinati dipinti, con o senza elementi in rilievo e scrittura, ha realizzato opere tridimensionali sui generis, in metallo, ceramica, vetro; installazioni e ambienti relazionali.

Frequentemente i lavori prendono avvio da osservazioni intenzionali o casuali, giochi di parole e tautologie; da suggestioni letterarie o dalla quotidianità. Molte sculture sono state indotte addirittura dai travisamenti generati dalla sua proverbiale miopia.

Per Mondino niente è impossibile e censurabile, però, gli stimoli di partenza devono essere fortemente intriganti e avere una marcata valenza pittorica. Con questi presupposti, l’ideazione viene formalizzata con assoluta dedizione, come fosse un atto di preghiera.

Può sembrare paradossale, ma la ‘costante’ più apprezzabile della sua produzione è l’instabilità proveniente anche dal nomadismo del pittore che tende a identificarsi con l’opera. Ecco allora che eccentricità e volubilità non possono che riflettersi in essa. Lo stesso vale per altri atteggiamenti della persona: la ‘classe’ del gentleman e la posatezza dell’intellettuale o, all’opposto, le aspirazioni e l’impulsività del ragazzo di vita.

Aldo è uno spregiudicato, nei comportamenti come nell’arte. Dice che per essere in tensione creativa deve sentirsi sempre con l’acqua alla gola.

Nell’ambiente sono ormai leggenda le sue avventure al femminile, la Morgan rossa e ora - come se non bastasse - la verde Aston Martin, il vestiario londinese, la villa con la piscina nel salone e il bagno dalle pareti trasparenti, l’acquisto di una nave da guerra, la passeggiata milanese in groppa a un cammello, la mongolfiera per il venticinquesimo compleanno del figlio Antonio… In fondo, anche questo rientra nella sua composita performance e alimenta il mito dell’artista genio e sregolatezza.

In realtà, per molti anni Mondino era vissuto nelle ristrettezze e nell’isolamento. Il successo giunto dopo la rivalutazione della pittura per merito della Transavanguardia e il più recente riconoscimento della piena autonomia all’atto creativo, gli hanno portato l’agiatezza di cui oggi abusa.

È difficile incontrare un artista così audace, inventivo e generoso; che sa guadagnarsi stima e affetto. Perciò non sorprende se alle inaugurazioni delle mostre personali giungono da più parti, a rendergli omaggio, tanti amici, comprese le ex compagne.

Ultimamente si è rilanciato con alcune esposizioni ben strutturate e la vasta “Aldologica” di Ravenna ha ri-proposto l’intero suo percorso, riuscendo ancora a meravigliare per anticipazioni e molteplicità, attualità e qualità. Gli spazi interni ed esterni della Loggetta Lombardesca sono stati animati dalle sue ‘spettacolari’ realizzazioni. Naturalmente hanno partecipato all’evento le più prestigiose rappresentanze delle varie etnie del suo universo esotico nei tipici costumi: Sultani dagli imponenti turbanti, Ebrei in kippà, vorticosi Dervisci, danzatori Knawa e di giare della Tunisia, mercanti d’Oriente, Messicani carichi di frutta tropicale, Sadhu dell’India. È ricomparso pure il re Salomone con la regina di Saba. Sono stati notati artisti come Toulouse Lautrec, Manet, Schiele, de Chirico e quelli del periodo citazionista parigino (Picasso, Braque, Gris), lo sciamano “Beuyscout” in trinità, l’amico “Ali Ali Alighiero” Boetti in veste metaforica; letterati come Pound e Dos Passos presi dalle loro trame. Tra i capi di stato, l’esemplare figura di Ghandi. Per la circostanza sono stati chiamati a raccolta anche i dodici “King”, posti nello splendido isolamento di una regale stanza rossa.

Gli ambienti erano arredati con eleganti lampadari “Jugen stilo” bic, con la “Porta (Accoppiamento)” e la tenda-Casorati con lo zerbino dalle uova incalpestabili, i lussuosi “Tappeti stesi” sulle pareti e quello effimero (al caffè) sul pavimento, le quadrerie con gli “Iznik” in vetro, la “Gravère” dei pesci di bronzo allineati, il “Trofeo” sgambettante, i “Falsi collages” e le “Finte xilografie”, grandi e piccoli mosaici, a stabilire un legame ideale con quelli ravennati, anche se applicati alle portiere e ai tappetini di una Smart in sosta all’ingresso.

Addolcivano e decoravano le stanze: pannelli con agglomerati di cioccolatini, la “Torre di torrone”, la “Scultura un corno” ricoperta di aromatico cioccolato (che hanno ispirato le scolaresche nei laboratori creativi). E poi la formosa “Mamma di Boccioni”, la sinuosa “Dino Jarre”, le candide “Gemelle siamesi”, la misteriosa “Oh-nice House”. Qua e là, l’inedita “Anguria senza fine”, cesti di succulenta frutta e fiori sempre più invasivi e seducenti.

A rallegrare gli astanti, il famoso “Violinista” in tre parti(ture) e altre composizioni musicali, i palloncini colorati (sfuggiti dai primi quadri a quadretti) e  il “Sole” di lampadine colorate. Dal sacro giardino del chiostro, impreziosito dalle sculture, il pesce “Arabesque” sopraggiunto sulle gambe di Giacometti a ricordare l’irriproponibile “Ittiodromo”. Impossibile elencare tutte le creature presenti. Ma non può essere sottaciuto il fantastico “Mon Dine” in fiore, dove l’autore ha associato il proprio nome a quello dell’americano, sottolineando la comune ‘mania’ della pittura. Insomma, quella di Ravenna è stata una mostra vitale, gioiosa ed emozionante, che ha saputo riportare all’attenzione il dinamismo creativo di un operatore fuoriserie. Un’“Aldologica” che ha espresso quella magia che può venire solo dall’illogicità dell’arte. Il tutto narrato pure nei testi-guida, scritti dall’artista per i visitatori, e supportato da un voluminoso catalogo edito da Mazzotta. Ma diamo la parola al protagonista.

 

Aldo, come erano caratterizzate le personali allestite ultimamente?

Le mostre nelle gallerie private erano a tema. Cito Raffaelli a Trento con una serie di “mercanti”, la Galleria Carlina di Torino con delle nuove sculture in vetro e quadri di angurie. La mostra si chiamava, appunto, “2003, l’anno delle angurie”.

 

Ho constatato che nell’”Aldologica” di Ravenna sei riuscito ad aggregare il meglio della produzione dagli esordi ad oggi.

Non so se proprio “il meglio”; molte opere nei miei spostamenti sono andate disperse, molte altre, data la completa assenza di catalogazione per anni, sono per il momento irreperibili. Ciononostante, grazie all’appassionata collaborazione di Spadoni, della Casali e di uno staff perfetto, siamo riusciti a mettere insieme una grande mostra che copre oltre quarant’anni del mio lavoro. È stata anche per me una bella sorpresa rivedere dopo tanto tempo cose fatte in un periodo giovanile vicino a opere più recenti e più mature data anche l’età dell’autore…

 

Non essendo stata concepita come semplice retrospettiva e avendo dovuto relazionarti con il luogo espositivo e culturale, ha comportato anche un notevole impegno personale?

Sì, però ho avuto il tempo di pensarci su, grazie… a una lunga degenza in ospedale, ma in continuo contatto con Carlo Pasini, mio assistente, e Flavia, la segretaria, che praticamente viveva a Ravenna via computer.

 

È stata una buona occasione per di-mostrare la “logica” di fondo dell’intero percorso che riesce ancora a stupire…

Tra tutti ci abbiamo provato. Io mi ritengo molto soddisfatto e penso lo siano anche i miei collaboratori.

 

È cresciuto l’interesse per la tua opera?

Forse sì, a giudicare dal successo che ha riscosso la mostra.

 

Le esposizioni ti hanno stimolato a realizzare nuovi lavori?

Ultimamente, nonostante le varie mostre che ho fatto, non sono stato proprio bene di salute e ho dovuto trascurare un po’ il lavoro “manuale”, per cortisoni o bombole di ossigeno, ma non mi pare che manchino idee e voglia di fare.

 

Hai in mente nuovi progetti?

Per ora non espositivi, piuttosto di lavoro. Attualmente un soggetto che mi appassiona molto sono i “Cacciatori di orchidee”, di cui ho già fatto alcuni quadri. Ho scoperto un mondo affascinante che, salute permettendo, vorrei approfondire. È il progetto più recente.

 

Allora, auguri di buon proseguimento…!

A cura di Luciano Marucci

 [«Juliet» (Trieste), n. 117, aprile-maggio 2004, pp. 48-49]