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JIRI GEORG DOKOUPIL PDF Stampa
Le tendenze, com’è noto, danno impulsi evolutivi alle arti visive, anche se la storia dell’arte privilegia le individualità. Quando però l’originaria energia propulsiva si esaurisce e prevalgono le ragioni commerciali, emergono gli aspetti negativi: l’egemonia che impedisce di guardare oltre e l’emarginazione dei singoli operatori; la promozione del pensiero unico; la sottovalutazione della diversità e della complessità delle culture; la mancanza di confronto.

Da circa un ventennio, in assenza di un’avanguardia capace di indicare vie maestre, sono esaltate le ricerche eterogenee e l’autonomia dell’atto creativo, spesso proclamata, quasi mai rispettata.

Nell’attuale panorama si scorgono ancora delle aggregazioni, ma, purtroppo o per fortuna, non così autorevoli da risultare polarizzanti. Così diviene inevitabile legittimare chi pratica la ‘molteplicità’.

Uno dei protagonisti più rappresentativi di questa non-tendenza è sicuramente Jiri Georg Dokoupil - artista decisamente indipendente e nomade, nella ricerca come nella vita - che afferma con orgoglio il senso della soggettività e, per non rinunciare alla sua identità, si ‘disconnette’ dal sistema globalizzante che favorisce l’indifferenziazione.

La sua produzione non è stabile e programmata. Pur essendo supportata da costanti, provenienti dalle radici dell’autore, è stimolata soprattutto da particolari luoghi e situazioni. È intensamente partecipata e intrigante, realistica e visionaria, fino a sconfinare nel surreale; in grado di visualizzare e comunicare, con straordinaria efficacia, aspetti dell’io in rapporto al mondo.

Dokoupil passa con disinvoltura dalla grafica alla pittura e alla scultura. Nelle tecniche miste fa uso di pigmenti naturali, fuliggine, bolle di sapone, alluminio… Affronta i temi più disparati: dalla natura morta al paesaggio, all’ambiente urbano; dal ritratto all’iconografia religiosa, ai riti popolari. Con originali intuizioni sa riportare in superficie la storia, sia nella riformulazione di soggetti noti, sia innovando i media codificati. Quando sembra aver trovato la via giusta, cambia direzione sfuggendo a ogni stile.

I suoi lavori, dunque, riflettono l’eccentricità e l’eclettismo di un individuo senza frontiere; irrequieto, enigmatico, imprevedibile; sensibile alle problematiche artistiche ed esistenziali. Registrano le contraddizioni e l’antagonismo del quotidiano. Nonostante siano ispirati dal reale, non sono mai rappresentativi, ma personali e vitali, oltre che coinvolgenti emotivamente e poeticamente. Da qui le immagini forti, deformi e terrificanti. Anche nelle visioni seducenti è latente il dramma: la delicatezza non esclude la crudeltà.

In definitiva l’artista è contro gli schematismi, evita i condizionamenti e riesce a trasformare l’incoerenza in valore aggiunto. Nel rispetto della grande tradizione, la sua opera riesce ad attrarre pure lo guardo degli osservatori più esigenti, proprio grazie alla tensione creativa, sempre viva, e all’estrema libertà espressiva.

 

Dokoupil, nel periodo della prima formazione hai avuto dei modelli?

Sì, quello dell’Arte Concettuale, iniziata nel 1965.

 

L’insegnamento all’Accademia di Düsseldorf è stato stimolante?

No, non ha significato niente per me.

 

Il soggiorno negli Stati Uniti ti è stato utile?

Fu la mia nascita, la mia nascita artistica.

 

Cosa resta oggi delle tue origini cecoslovacche?

Il sapore della birra…, il desiderio del gusto della birra ceca.

 

Non ti poni vincoli linguistici?

Mia zia cucina bene…

 

Nel tuo lavoro i cambiamenti di direzione indicano che vuoi schivare la ripetitività dello stile?

No, non è che io voglia qualcosa, è una questione di eccitazione.

 

La consequenzialità è un bene o un male?

La continuità è quanto di meglio! Ma dipende dal tipo di continuità. È buona quella della ricerca derivata dall’emozione.

 

Qual è la motivazione di fondo che ti spinge a dipingere soggetti diversi? La coerenza va  ricercata nell’eclettismo?

È lo stimolo. (Mi piace amare).

 

Quindi, sono più importanti la libertà espressiva e la fantasia…

L’artista non deve avere limiti; il suo unico limite dovrebbe essere quello di non averne…

 

Ti piace rischiare?

Non so... Non mi piace rischiare.

 

Qual è la caratteristica dominante del tuo lavoro?

È la ricerca di stimoli, del piacere.

 

Quale l’aspetto unificante della tua produzione?

Forse proprio la ricerca del piacere, dell’emozione o il fatto che ho deciso di essere un pittore; non un regista, un artista del video… Avrei anche potuto essere un regista, ma ho deciso di fare il pittore.

 

Cerchi altre tecniche o ti bastano quelle già inventate?

Non è questione di nuove tecniche; quando si è abbastanza sensibili, le cose attorno cominciano a parlarti, ti mostrano il percorso da seguire.

 

Dai molta importanza alla manualità?

È estremamente importante! Forse la cosa più importante di tutte.

 

Tendi a renderla evidente?

Deve essere molto evidente. Sono sempre alla ricerca della soluzione più perfetta.

 

Quando un soggetto è esaurito, passi ad altro o lavori contemporaneamente a più temi?

Certe volte lavoro simultaneamente a diverse opere. Quando una cosa è compiuta, muore…, mi sento assolutamente nel vuoto; soffro veramente e penso che non sarò capace di fare altro mai più. Ecco perché sono alla continua ricerca di stimoli.

           

Torni mai sull’opera compiuta?

A volte lo faccio, ma non ne sono molto entusiasta.

 

Lavorare molto ti aiuta a cercare e a fare meglio?

Lavorare duro non rende l’arte necessariamente migliore.

 

Nel quadro l’estetica acquista la stessa importanza dell’esistenziale?

Lascio che altri si esprimano su questo.

 

Sei attento anche alla storia del mondo che va cambiando?

Questa domanda è troppo ampia, troppo importante; non mi sento di dare una risposta.

 

Ma l’opera riflette le inquietudini e le contraddizioni del nostro tempo?

Di nuovo, a queste domande dovrebbero rispondere quanti ne sanno più di me. Io, nel mio piccolo mondo, cerco di fare le cose giuste.

 

Comunque, sottende una certa critica verso la realtà culturale e sociale?

No, con un poco di sì.

 

…Ha una funzione liberatoria?

Sì, con un poco di no.

 

A volte dipingi o disegni immagini molto forti; altre molto tenere. Questi contrasti sono espressione di un dramma in atto?

Per me ha a che fare con l’emozione; non è che qualcosa sia meno importante o meno impressionante di qualcos’altro: il dipinto di un bicchiere d’acqua può essere più sconvolgente dell’immagine di una esplosione. Non c’è differenza di emozioni fra le immagini.

 

Cerchi il coinvolgimento emotivo dello spettatore?

Chi è il mio spettatore? Lo spettatore è mia madre, chi acquista e vende la mia arte e i miei 12 amici.

 

Vuoi dire che fai arte per te stesso…?

Naturalmente ho bisogno di un pubblico per poter sopravvivere e, spero, ci sia qualcuno che voglia acquistare il mio lavoro, cosicché egli possa rivivere la mia stessa emozione.

 

Quanto contano per te la spontaneità e la casualità?

Entrambe sono molto importanti.

 

Hai un rapporto intenso con i diversi luoghi in cui vivi?

Sì, naturalmente. Ho diverse case e tutte sono molto importanti per me. La mia casa è la somma di quei luoghi.

 

Al tuo nomadismo geografico corrisponde quello della ricerca?

Sì, ma… ci sono tante persone che lavorano in altrettanti luoghi, come Francesco Clemente che ha lavorato in India e negli Stati Uniti; altri artisti hanno lavorato in Africa… Ognuno sceglie il proprio modo di lavorare. Non credo ci sia un luogo speciale, ce ne erano alcuni, anni fa, ma credo che oggi chiunque possa essere ovunque, quasi.

 

In questo momento qual è il tema che ti attrae maggiormente?

È qualunque cosa che possa emozionarmi...

A cura di Luciano Marucci

traduzione di Marco Piotti

[«Juliet» (Trieste), n. 119, October-November 2004, pp. 36-37]

 

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