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GIUSEPPE GALLO PDF Stampa

La tua opera, anche se si avvale in buona misura della citazione, può essere considerata tutta autobiografica?

Molto spesso le citazioni sono dei ricordi, chiaramente autobiografici.


L'artista è uno che adegua la sua poetica, un trasformista...?

Sicuramente è un bugiardo, una persona debole che deve essere aiutata ed amata. Tutto quello che fa, da solo, non ha funzione se non viene messo in situazioni centrali.


In generale, se l'operatore estetico di oggi non è proiettato in avanti risulta anacronistico?

Per me, gli artisti veri sono sempre proiettati verso un futuro visto come regione incontaminata e per la possibilità che ha il linguaggio di rinnovarsi, di accettarsi, ma anche di stupirsi.


Le tue convinzioni ti impongono di non scendere a compromessi con l'esistente?

I compromessi sono parte del lavoro. A volte si fanno senza accorgersene; volontariamente li evito. Ho la maturità del vivere e penso che l'uomo debba passare al di sopra delle piccole cose.


Non sei in polemica con le altre tendenze artistiche?

Il mondo offre tantissime possibilità, perciò non si può fare polemica, ma non si può nemmeno entrare in dialettiche profonde. Il grande errore di questo momento è che non si può quasi discutere e, allora, forse è meglio stare zitti. Ormai il mondo è diventato così vario..! Ogni cosa ha perso le sue posizioni. Stiamo vivendo un momento di completo disordine e di confusione. Ho paura che l'avanguardia sia diventata pompière e che, magari alla fine, uno isolato come Bacon possa rappresentare l'avanguardia...


Allora, rispetto a questa situazione, qual è il tuo atteggiamento?

Mi sforzo di ridare un ruolo culturale all'artista e a tutto ciò che egli contempla.


Ti consideri un artista con una forte individualità?

No, no... Secondo me, per realizzare certi lavori bisogna essere molto fragili e sentire, ascoltare. Però, nel momento della formalizzazione dell'opera, occorre diventare forti. Quando, poi, uno guarda il quadro con distacco e lo giudica, lì si deve essere fortissimi.

 

Oggi c'è ancora bisogno di una pittura che solleciti una lettura spirituale?

Non penso che ciò avvenga a priori; devono esistere una idea collettiva, un clima, un pensiero che appartengono a una massa. Queste cose non vengono create a tavolino. Ci deve essere uno scambio tra chi fa e chi riceve. “Spirituale” è una ‘parola' abusata, enorme, fuori luogo. Il pittore ha pure altri compiti...

 

Alludi anche ad una ‘denuncia' più aperta per promuovere un mondo migliore?

Se ne parla molto, ma l'arte ha perso questo ruolo. Non ha più la forza di una volta. Nessuno prende posizione su un fatto sociale. È drammatico, terribile. Oggi anche i cantanti agiscono in favore dell'umanità; invece non c'è artista che interviene... Parliamo di spiritualità, di tutti i nostri problemi, ma, in questo momento, non abbiamo nessun potere intellettuale, nessun peso sociale.

 

Attualmente come si dovrebbe manifestare l'azione politica e sociale dell'intellettuale?

Secondo me, anche prendendo delle posizioni pubbliche. Io ricordo con grande piacere quando leggevo sui giornali gli scritti di Pasolini sull'aborto e su altre problematiche di quel momento. Oggi c'è una mancanza reale di contenuti e di personaggi. In termini sociali, bisognerebbe partecipare ad un dibattito culturale, ma evidentemente non abbiamo niente da dire. Non sono per una pratica guttusiana del nostro lavoro, ma certamente pasoliniana.

 

Quanto di estetico e di esistenziale c'è nella tua opera?

Non lo so. Hai accoppiato “estetico” ed “esistenziale” e ciò mi crea grossi problemi. Ma lo scontro esiste ed io lo avverto. Ad ogni modo, mi preoccupo di far prevalere l'esistenziale e spero di riuscire a dire cose sempre più significative in questa direzione.

 

Nel tuo caso, memoria individuale e storico-collettiva si fondono?

Spero di sì. In fondo, quando cerco di unire delle cose che possono sembrare quelle che non sono, come, per esempio, l'astrazione con la figurazione, c'è l'idea di collegare la testa con i piedi...

 

È giusto dire che nella tua produzione la tradizione è nei contenuti e la modernità nel linguaggio?

Il mio lavoro va a zig-zag, perciò questa domanda si può anche invertire e, in tutti e due i casi, potrei rispondere positivamente.

 

Ma come ti poni di fronte al linguaggio in divenire?

È un problema che va affrontato quotidianamente, con freddezza. Il linguaggio invecchia certamente quanto il pensiero.

 

Se non sbaglio, trai la massima libertà espressiva e la migliore resa dai contrasti...

Sì, trovo fantastico il contrasto. Credo che oggi sia possibile lavorare così e che ci stiamo avvicinando a un grande piacere del fare proprio perché finalmente abbiamo raggiunto una grande libertà linguistica. Sono un giocatore e mi piace far combaciare situazioni diverse, trovare un punto finale. Se si fanno convivere le complessità su una stessa superficie, ci si può avvicinare alla creazione.

 

Riesci a possedere le forme geometriche come vorresti?

In realtà, esse, con le duemila regole che hanno, sfuggono.

 

Comunque, nella costruzione dell'opera la geometria e la razionalità vengono fagocitate dall'illogicità della memoria intima...

Hai visto bene. Ma tu mi fai delle risposte non delle domande...

 

Se la figurazione è tutta in funzione di una immagine paradossale, dov'è la vera logica?

Nella costruzione delle componenti, nel modo in cui esse vengono immesse nello spazio.

 

È azzardato definire le tue immagini “utopiche”?

Io amo molto l'utopia come spinta sociale e come bisogno dell'uomo per vivere. La vivo in senso contrario alla sua logica, ma poi non so se le mie immagini sono così. Penso che, alla fine, tutto abbia una forma e un'idea precisa. Finché l'uomo non sa perché è nato, perché muore, l'utopia non può essere abbandonata. In termini visivi, è una specie di fiume. Uno può costruire dighe, deviarlo, ma la forza esiste, resiste. Più si va in alto e più si pratica l'utopia, proprio perché ne abbiamo necessità.

 

A proposito: tu vivi con i piedi a terra o in aria come certe tue figure?

Non le vedo tanto in aria, ma su strati di colori... Io, poi, sono molto volubile..: sono una persona che non ha una sola idea.

 

Tornando all'opera: si può dire che tendi ad unire il concettuale con un mondo immaginativo e che crei assonanze fra altri elementi stridenti fra loro...

Sono contento di questa lettura, perché mi fa tornare con la mente ai miei primi amori e ad una situazione storica in cui le idee o i concetti venivano trattati diversamente. Oggi si dice “concettuale”, ma esisteva già questo far parlare la pittura combinando argomenti diversi. Per esempio: Bellini mescolava il religioso con il pagano.

 

Perché, a volte, senti la necessità di uscire dall'opera bidimensionale?

Come si fa ad uscire da un quadro..!? Ogni tanto faccio delle sculture che mi offrono la possibilità di stare bene col mondo, di muovere le mani... Esse hanno una disponibilità diversa rispetto alla pittura che è più determinata.

 

Con tutte queste premesse, il tuo lavoro come si sta evolvendo?

Spero che il mio lavoro e il mio modo di pensare siano sempre in condizione evolutiva. Quando essi si formalizzano troppo ed hanno dei punti fermi, io soffro e cambio rotta. Ora mi sto dedicando molto al disegno per sviluppare un discorso più approfondito. Spero di non deludere.

 

A cura di Luciano Marucci

[«Juliet» (Trieste) , n. 60, dicembre 1992-gennaio 1993, p. 46]

 

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