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LUCA MARIA PATELLA PDF Stampa

Luca, una costante riconoscibile nella tua produzione di sempre è la sperimentazione. Come entra questo aspetto nel tuo lavoro?

Se togliamo di mezzo il vecchio termine di sperimentalismo, è ovvio che fare cultura e arte, o semplicemente (!) vita è sperimentare, inventare. Altrimenti, cosa vorresti fare? Campare di rendita non è la mia aspirazione. Il mio continuo avere problemi ed avventurarmi è inoltre assai più spinto del solito, perché non si pone limiti.

 

In questo momento dove ti sta dirigendo questa tua vocazione che ti ha portato, prima all'innovazione delle tecniche incisorie, poi alle anticipazioni landartistiche e comportamentali; ad introdurre ‘ufficialmente' nelle arti visive la fotografia, il cinema e altre invenzioni o focalizzazioni sul linguaggio e sul concetto allargato di arte per integrare lo specifico pittorico anche con la psicologia, la scrittura, l'analisi critica, la scienza..?

Verso caldi e ardui piaceri e fatiche. Se vale la pena fare, eccomi qua all'opera. Mostro l'attualità del mio passato e della storia, confrontandoli con il futuro. Mi sporgo.. pericolosamente su di esso, in una continua elaborazione organica e strappante. Nessuna “direzione” unica mi sembra valida. Sperimento anche media della comunicazione interattiva e virtuale, mediante l'uso di sofisticati computers. Ho il piacere e la tristezza di sentirmi dire, da certi giovani, che scoprono che loro invenzioni sono state fatte da me 25 anni prima, o che pensavano, prima di incontrarmi, che fossi loro coetaneo (non sto inventando). Mi piacerebbe molto poter parlare con abitanti di altri mondi, e scambiare sentimenti e conoscenze con loro, abitanti di qualche galassia lontana. Questo non vuol dire, come sai, che non ami e non mi confronti profondamente con la Storia , anche se ho.. il sospetto o son piuttosto convinto di essere il più giovane o micidiale degli sperimentatori sulla piazza. Mi siederò a un tavolo tondo o quadrato, di fronte a un piccolo venusiano o a un ragazzo o a una ragazzina alfacentauriani e, guardandoli in faccia: proverò pena (per loro, per me), cioè tenerezza; eppure parleremo, e pure andrò poi a fare ben altro.. Non sono solo puer né un giovanilista, continuo a tessere sempre di più la sostanziale complessità.

 

Come nacque la parola “comportamento” per le tue opere degli anni Sessanta, cioè in tempi non sospetti..?

Dal mio conoscere la psicologia e la psicoanalisi. Introducevo una terminologia inedita, ma soprattutto praticavo dei modi e dei media inediti. Come hai accennato, varî miei lavori e atteggiamenti, dalla metà degli anni ‘60, sono risultati assai anticipatorî. Volendo essere, per esempio, semplificatori e immodesti, non sono tanto le “tre sedie” (se non le “tre seghe”) di Kosuth che aprono al concettuale..; quanto ci si può appuntare su più consapevoli e complessi miei lavori (vedi “biglietto d'autobus, ecc.” o “tutto, ecc.”) coevi o precedenti, e quindi assolutamente indipendenti. Ma la sostanza del problema, in realtà sta altrove: quella che io promuovo e pratico, non è solo un'arte autoriflessiva e tautologica, ma un fare assai più vasto, sostanziato di arte & non arte. Questo cammino è urgente, ma.. di là da venire. Io cammino, ma non vedo altri artisti o intellettuali o quel che sia, con me.. Se mai, ti aggiungerò che il mondo è grande; ti ho detto immodesto, e preciso: mo'.. desto. Chi? la bella addormentata?

 

Da anni vai ‘predicando' l' ”arte della complessità” che, per essere praticata, richiede ‘altri' mezzi.., per cui lo specifico, resiste...

No, no, non prèdico; tutt'al più.. predìco! Non faccio crociate, semplicemente penso, amo, lotto e mi esprimo. Ho l'onore e l'onere di promuovere e muovere modi e fatti necessarî.

Anche quelli di Art-language credo che avessero studiato.. all'istituto d'arte. Il confronto di culture (artistica e scientifica) non nasce in mezzo a un prato, ma dove queste culture sono presenti. Non si tratta però solo di conoscenza e di nozioni; come sempre è in ballo la pulsione, la sensibilità e l'intelligenza.

 

Chi ti conosce sa che tendi, in maniera quasi maniacale, senza risparmiarti, alla “logique du Tout”, ad una sorta di ‘perfezionismo creativo tras-formativo' che ti porta ad integrare all'infinito per in-seguire il pensiero e identificarti con l'opera per non lasciare niente al di fuori di essa. Come concili tanta “meditazione-mediazione” con l'esigenza, per te altrettanto importante, di far sopravvivere il ‘gesto istintivo', le pulsioni interne iniziali?

E' la presenza di contrarî che rende viva la vita, significativo il lavoro. Non faccio cose a freddo, quindi la partenza è sempre una pulsione, epistemologica che sia. ..Se respiri, non è detto che tu debba smettere di sentire, di parlare, di ca.. mminare, diciamo! E minare i luoghi comuni.

 

Se nel ‘fare' de-costruisci all'infinito.., qual è il momento in cui l'opera può essere considerata veramente finita?

Se si tratta di un'opera, deve essere ben fatta sino in fondo. Diderot dice: “..C'eravate prima di entrarvi, e ci sarete ancora quando ne sarete usciti”.

 

Per un artista che vuole essere in Tutto per dare all'opera una densità di significati - forse ‘inadeguata' ai tempi che ‘corrono'.. - cosa vuol dire ‘essenzialità'?

L'opera o l'operare sono veri, e come tali non sono barzellette. Certe densità storiche (vedi.. l'amico Dante) sono splendide. I tempi lasciamoli correre. Sogna e bisogna essere saldi e veloci.

L'essenza del tutto è l'umano. Nessuna parola, sentimento o pensiero esula da noi. L'essenziale sarebbe o è essere sé, noi.

 

È possibile fare un'arte della visione, intesa come pensiero, inglobandovi anche ‘corposi' elementi delle arti letterarie?

Non solo delle arti letterarie. Come sai, il mio lavoro va.. dalla costruzione manuale di oggetti ricchi di particolari e di tecniche, dalla macinazione dei pigmenti, alla poesia, allo scrivere un saggio psicoanalitico su un testo letterario o meno, al confrontare culture diverse in grafici, disegni o installazioni, ..all'andare “a spasso”. Non si tratta di angoscioso eclettismo, se mai di ricca tessitura, di ovvio desiderio, che.. erra e òvvia, ovvìa..

 

Devo riconoscere che nessun artista ha scritto un saggio psicoanalitico su un testo letterario; saggio di rilevanza scientifica e completamente fuori del campo pittorico. Cos'altro può vantare il tuo “Jacques le fataliste, di Denis Diderot, come Autoencyclopédie”?

Di essere, come dici tu, non una orecchiatura alla moda, ma uno studio originale e oggettivo (e soggettivo); allo stesso tempo, di non essere la produzione di “un” critico, uno psicoanalista, un francesista o quel che sia, ma di esser situato in un terreno molto articolato, anche di controfacce oggettive, opere e installazioni che integrano la theoria, o ne sono integrate. Il tutto mi implica e riguarda l'attualità, problematiche vive.

 

Vuoi dire che la tua arte ha un preminente carattere scientifico?

No, io non parlo né di scienza, né di arte, né di vita, separatamente. Parlo delle relazioni di questo ed altro, e ne faccio linguaggio.

 

Preso atto che nei tuoi lavori convivono tradizione e moderna spregiudicatezza e che sei stato tra i primi a riscoprire Duchamp con una pubblicazione critico-psicoanalitica e opere che dialettizzano con la sua produzione; dichiarando che fai “l'arte che non c'è”, cosa intendi dire esattamente? E' possibile andare oltre il tuo amato Duch?

DUCH non è un mio idolo, come nessuno lo è. Il ready-made è arrivato alla soglia dell'arte. Ma il da farsi risiede, anzi si muove dentro e fuori di essa: arte & non arte. “L'arte che non c'è”, come molti miei “titoli”, ha tanti significati. Dovremmo fare un'intervista solo su di esso (anche se alcune cose le stiamo dicendo). Alcuni dei sensi potrei elencarteli, altri me li ricordo o mi vengono in mente via via, magari. Potresti anche collegare il “non c'è” con l' “io sono qui”, o con l' “ontologia/antologia”. Tutto muove dall'esistere, ma se uno potesse veramente sentirsi, essere!..

 

Il lavorare su più fronti e la pratica dell'approfondimento che allungano i tempi; il dover seguire il dinamismo interno e, nello stesso tempo, gli aspetti pratici, non ti fanno sentire il bisogno di delegare ad altri l'esecuzione materiale almeno di certe laboriose opere oggettuali?

Sì, varî fronti scottano e a volte la mia fronte scotta (..la fresca!). Questo non porta a scottarmi, ma a pagare magari scotti di fronte alla vita e alla socialità. Non sono giuochi di parole! Delegare magari sì, ma solo quando fa parte della struttura della tecnica. ..La tornitura o la oggettualità di un monitor non le realizzo io. Se uno potesse relazionarsi ulteriormente e sentirsi di più negli altri e con gli altri, sarebbe bello! (non solo per ragioni pratiche).

 

Per te, che relazione ci deve essere tra motivazioni teoriche, dimensione estetica e sostanza culturale?

L'una non esclude affatto l'altra, anzi..

 

In sostanza, ti preme far dialettizzare creatività-espressione-cultura, cioè l'Io col mondo..

Ho il complesso dell'amplesso; vorrei abbracciare il mondo, e, altrettanto segretamente, esserne abbracciato.

 

Dove va ricercata la radicalità del tuo lavoro?

Non professo una professione, non pratico né eseguo un mestiere; agisco (e non agisco) nel cuore dell'umano.

 

Tu fai un uso smisurato di pensiero, ma anche di sentimento; di razionalità, ma ascolti pure le voci del profondo. Hai bisogno di bilanciare..? Riportare all'unità gli estremi opposti rientra nella tua “logica”?

L'equilibrio dinamico (che si critica e si mette continuamente in causa e in crisi, per ri-solversi o procedere) lo trovo congeniale e più facile (con le sue fatiche e piaceri) nella produzione di arte e cultura, che nella vita. La psiche è un inferno e un paradiso di cristallo..

 

In genere, non disdegni di parlare degli aspetti della tua attività, anzi, ricerchi il dialogo..; mentre, su certi elementi sostanziali dell'opera come, ad esempio, la dimensione mistico-cosmica, l'umano e i sentimenti, c'è il no comment. Perché non vuoi scoprirti più di tanto?

Se è così, è anche perché faccio linguaggio, opera, non confidenza indiscreta, né indiscretina.

 

In che misura la tua arte è realistica?

Mi occupo delle cose vere (con le loro controfacce false). Non mi interesso che della realtà, nessun interesse è al di fuori del reale (non parlo certo del “realismo” in arte, o degli “interessi” micragnosi e meccanicistici, che anche se agitano pochi o molti soldi, di fronte al tempo non sono solidi).

 

Perché in occasione della recente esposizione all'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma - che, secondo il titolo, voleva dare solo “Indicazioni per un'Ontologica / Antologica” - è stata pubblicata una monografia tanto impegnativa fino a diventare un ‘lavoro sul lavoro', forse unico nel suo genere?

Tu sai che, se faccio un libro, non può essere solo una documentazione dell'opera. Il libro è, da molti anni, uno dei miei strumenti espressivi.

La mostra si limitava ad alcuni nuclei di lavoro, faceva vedere cose più recenti (il “Mysterium”) e un buon saggio retrospettivo di fotografia e di grafica, le mie “primizie” della prima metà degli anni ‘60 (avevo allora inciso 200 acqueforti ed ero arrivato a ideare quelle “fotografiche a colori simultanei”). Il libro invece si addentra a ritroso (o count-down / count-up), in 12 + 1 Sezioni o Porte, dal presente (e futuro!) al passato. Come hai visto, l'editore Jandi Sapi mi ha dato la consistente occasione di fare un volume creativo di quasi 300 pagine, con centinaia di opere schedate e illustrate spesso a colori. La struttura e la grafica dell'opera è ideata da me e da Rosa Foschi (che collabora anche creativamente ai miei allestimenti, ecc.), come circolazione nel lavoro, in tutte le sue “trasformazionalità” e “riformulazioni eterosemiologiche”. E tuttavia, si tratta di esaurienti.. indicazioni! Perché una vera “Antologica/Ontologica”, che prenda in esame creativo tutto il mio fare, dovrebbe realizzarsi forse in 3 o più musei! Figùrati, qui da noi ce n'è a mala pena qualche frazione. La direzione della Calcografia è stata brava; certo, al Muhka di Anversa ho potuto articolare tanti lavori di più: la produzione degli anni ‘80, con precedenti nei ‘70, in un museo intero. Chissà che, fuori dalle pagine di un libro, o dai pixels di un monitor, non lo possa fare un giorno in Italia. Intanto, eccovi l'ultimo mio libro-catalogo, amici e nemici miei! (ogni mia cosa non vuol essere una museificazione, non ha tracce di commercialità, ma è un lavoro in atto).

 

Sei risentito nei confronti di certi critici che fanno finta di non accorgersi della tua ‘presenza'..?

Che facciano finta o sul serio dipende da loro. E' una mia pièce de résistence (anche tradotto male, funziona). Io, se ho voglia, procedo. Sì, anche con sofferenza, ma vengo a dimostrare (benché non sia il mio primo interesse) che si esiste, sia pur senza propulsori puramente economici. Del resto, mettersi in mostra (e non mettersi) fa soffrire e molto, oltre che gioire. Non credo che su di me siano state scritte cose sostanziali (ma sarebbe bene stare un po' in pace, ..se uno fosse capace, e non pretendere troppo); d'altra parte non è vero che non ci si accorga della mia presenza; varie persone qualificate mi hanno seguito e mi promuovono, ed io sono grato nei loro confronti. Dalla mia postazione, narcisistica ma piena di contatti e aneliti di intese-tese, assisto sì, per esempio, a buffe manovre di personaggi che non capivano quando io proponevo media “altri” con originalità e nel deserto, per poi scoprirli superficialmente, con una trentina di anni di ritardo, e magari non in me.

 

Ritengo che le motivazioni della ‘componente giocosa' (mai fine a se stessa), riscontrabile nelle tue opere, non sia stata ancora bene interpretata. Secondo me, specialmente nei lavori di questi ultimi anni, più essa è legata alla bellezza formale (felice e disperata come nel ciclo “Venere”), più maschera la drammaticità che deriva da momenti esistenziali.. In sintesi, cosa significa per te l'umorismo nell'opera?

..Parlare di più, del vero; sdrammatizzare e drammatizzare spericolatamente, spaludare e non impaludarsi. Essere sensuoso-popolare, e mentale, fresco come un pesce fresco. La mia cultura è anche europea (oltre che italiana e.. galattica); da bambino, forse una mia zia inglese ha influito su di me.

 

Chi vorresti essere, se volessi e potessi cambiare.

Me migliore (molto) di me. O tutti! (..ohpa!).

 

Le tue opere hanno un contenuto facilmente individuabile ed esauribile?

Il mio fare non si nasconde mai dietro cortine, ..né lungone fumogene. Proprio l'altro giorno, per telefono, un amico molto attivo e intenditore, mi ha detto: certo, il tuo lavoro non si riesce mai a bloccarlo e inquadrarlo da un punto di vista e nemmeno da varî! Tu stesso, in altra occasione, mi hai chiesto di definire il mio operare, e ti ho risposto che più che de-finirlo è meglio continuarlo. Eppure sai quanto il mio lavoro sia anche, in alcuni momenti (non certo però in tutti), sul mio lavoro: non ultimo, il grosso libro che ho appena terminato e presentato.

 

Allora la nostra pluriennale e monumentale “Intervista continua”, deve continuare..

Yes, sir; così è, se vi pare e piace.

 

Per concludere il discorso: non è proprio possibile definire.. il tuo ‘complesso' lavoro?

Chiamalo.. a ready-maid! (il primo ready è il corpo, corpo di.., l'inconscio?). Are you ready?

 

..Meglio detto?

Te l'ho detto: vorrei (proprio io, figùrati) amare tutti ed esserne riamato. Forse? Eccetera!

A cura di Luciano Marucci

[«Julit» (Trieste), n. 63, giugno 1993, pp. 34-35]

 

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