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ECUADOR. SUL TRENINO DEL DIAVOLO

Testo e foto di Luciano Marucci

 

 

Superate le peripezie degli scali aerei londinesi e americani ipercontrollati, siamo a Quito e, dopo alcuni giorni di saliscendi per le alture ecuadoriane e la prima acclimatazione (ci troviamo a 2850 metri di altitudine), eccoci nell’hotel “Tren dorado” di Riobamba, a due passi dalla stazioncina del trenino che porta ad Alausì.Nonostante le informazioni attinte qua e là, il viaggio è ancora avvolto nel mistero: dall’orario di partenza, alla possibilità di prendere posto dentro o sopra la carrozza, agli indumenti da indossare per fronteggiare le annunciate intemperie, alla durata e alle difficoltà di superare il dislivello di 1000 metri. E ancora: si potrà ammirare e fotografare il paesaggio dall’interno? Ci sarà il wc per eventuali emergenze…?Trepidanti, con i biglietti già acquistati il giorno prima, in dieci - avventurieri del “Tutto Ecuador” coordinati da Anna Lo Russo - ci presentiamo in stazione con mezz’ora di anticipo, ma troviamo solo qualche venditore di bibite, caffè e dolciumi. Scopriamo alcuni vagoni in sosta su binari morti e ci affrettiamo a ispezionarli per non trovarci impreparati... Sono chiusi come quelli per il bestiame; esternamente hanno una scaletta metallica che porta al tetto con ai lati soltanto piccoli argini per puntare i piedi. Intanto arrivano pochi altri turisti. In totale siamo una ventina. Evidentemente la corsa straordinaria del martedì è passata inosservata agli stranieri. Infatti, alle sette in punto si presenta solo l’automotrice con sopra rassicuranti mancorrenti e tavole per sedersi. La sua veste è piuttosto moderna e la vistosa scritta “EXPRESS” lo conferma. Ha le dimensioni e le marce a leva come un autobus, ma le altre caratteristiche da mezzo su strada ferrata. E dire che ci aspettavamo la vecchia vaporiera, collocata, invece, a riposo, forse perché spargeva fumo e fuliggine, dando qualche problema ai passeggeri en plein air.Ci affrettiamo a salire, mentre un addetto offre, per un dollaro, i cuscinetti in affitto a chi va sul tetto. I meno ardimentosi si sistemano sulle più comode poltrone all’interno. Dopo aver ‘esibito’ un prolungato suono da tram d’altri tempi, il conduttore – affiancato da una persona preposta a segnalare (manualmente) situazioni di pericolo – avvia il convoglio che, traballante come un giocattolo, sul binario a scartamento ridotto inizia a farsi strada nell’abitato in mezzo al traffico cittadino. Ad ogni attraversamento stradale o di sentiero, naturalmente tutti senza passaggio a livello o altro accorgimento di sicurezza, suona a più riprese per farsi notare…; rallenta a passo d’uomo e prosegue solo dopo il gesto di assenso del guardingo assistente.Addentrandosi nel paesaggio - spesso inseguito da cani abbaianti – ecco le prime frenate per schivare animali al pascolo. Ed ecco il primo cumulo di pietre sui binari, posto forse per gioco dai ragazzini, prontamente rimosso dall’aiuto macchinista che salta giù dopo la decisiva frenata. Al secondo cumulo non abbiamo più dubbi sul ‘movente’ degli innocui attentati, anche se il terzo (dietro una curva) fa pensare a qualche autore più malizioso. Comunque, “no problem!”: l’”Express”… va così lento che ogni volta può arrestarsi in tempo per ovviare a qualsiasi inconveniente o, addirittura, per far salire qualche indios che all’improvviso fa cenno. Non solo, se il conduttore si accorge che un turista armeggia con la macchina fotografica, non esita a rallentare. In prossimità di attraenti abissi, lo stesso si ferma volontariamente per invogliare a scattare foto e sembra dispiacersi se non si apprezza l’offerta...Ovviamente lungo l’itinerario non c’è ombra di segnale luminoso o di chi scambia i binari: provvede il solito coadiutore che scende rapidamente azionando con abilità le leve. E, quando s’incontrano operai intenti a riparare le traverse, si dà una mano per scansare con sollecitudine i materiali. Il conduttore è prudente e disponibile ad ogni richiesta. Così, quell’anacronistico trenino, che richiama il Far West, finisce per risultare funzionale, familiare e molto comodo… per chi sta dentro, anche perché non si perdono le bellezze paesaggistiche. In ritardo ci accorgiamo che è dotato pure di un baño riservatissimo… (chiuso a lucchetto). Probabilmente la chiave viene fornita dietro pagamento di un altro dollaro.In circa un’ora e mezza si supera la prima tratta, meno interessante ma più divertente, e ci si ferma ufficialmente, tra bancarelle di frutta e di souvenir d’artisanian, alla ‘stazione’ (senza edificio) di Guamote, un villaggio famoso per il mercato rurale del giovedì (tra i più grandi dell’Ecuador) e per gli scippi… Scendiamo tutti per fare la fila all’unico gabinetto del vicino bar (con una ragazzina piazzata davanti alla porta a riscuotere il ‘pedaggio’) e per sorseggiare un the caldo, utile specialmente per gli intrepidi viaggiatori del tetto. Prima che il treno riparta, qualcuno decide di continuare dentro la motrice-carrozza, altri resistono per non perdere alcun particolare del panorama che si va facendo più suggestivo.Il mezzo, dunque, comincia a penetrare tra i varchi delle aspre montagne, affronta stretti tornanti giù per i loro fianchi, ponticelli larghi quanto le rotaie e va scoprendo meraviglie inaspettate. Ancheggia, sussulta e rompe il profondo silenzio delle valli con un buffo stridio di ferraglie.Verso la fine del percorso subentrano gli attesi avanti-indietro, gli zig-zag del tragitto supplementare, per permettere di immortalare El Nariz del Diablo (Il naso del diavolo) e i punti più vertiginosi, mirati dall’alto e dal basso.Trascorse cinque ore (meno del previsto, forse per la mancanza di vagoni), arriviamo ad Alausì e il gruppo va ad occupare le panchine dello zocalo in attesa di continuare il tour con la furgoneta guidata dal bravo Guacho.Ora l’esperienza del primitivo trenino della ruta Riobamba-Sibambe – unico al mondo – non ha più segreti. Offre, con allegria e semplicità, una quantità di visioni e di sensazioni che meriterebbero un intero romanzo o un lungometraggio, tanto più che, pochi giorni dopo, il vulcano Tungurahua riprende l’attività eruttiva ammantando di cenere Baños e la vicina Riobamba. Si ridesta così l’antico immaginario collettivo legato alle origini e al fascino di gran parte del territorio ecuadoriano, dalle vette del Cotopaxi e del Chimborazo alle lagune di Quilotoa e di Mojanda, dai mercati di Zimbahua e Otavalo all’elegante Guayaquil, fino al favoloso Arcipelago di Còlon - le mitiche Galapagos - patrimonio naturale incontaminato dell’intera umanità.

Luciano Marucci

 («Avventure nel Mondo» (Roma), a. XXXI, n. 2, Roma, luglio-dicembre 2004, p. 95) 

 

 

Per il reportage con le immagini vai al sito della rivista

http://www.viaggiavventurenelmondo.it/nuovosito/rivista/articoli/02-2004-03-O-23.pdf